C’è un nuovo capitolo nel castello di accuse che ha colpito il presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso sulla tragedia di Rigopiano, e lo scrivono i tre avvocati del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, che proprio in questi giorni lo hanno denunciato per abuso d’ufficio e danno erariale. E’ la seconda denuncia firmata dai tre avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, che già a marzo scorso avevano presentato alla procura della repubblica di Pescara (che dopo la partenza per Pesaro della pm Cristina Tedeschini ha impresso una netta accelerazione alle indagini) un dossier di 30 pagine per la mancata approvazione della Carta valanghe da parte della giunta di centrosinistra e per le anomalie sulla riunione del Core.
E adesso nel mirino è finito l’incarico affidato dalla giunta regionale il 18 gennaio scorso a due consulenti esterni: un incarico che D’Alfonso non avrebbe dovuto affidare, perché lo riguardava direttamente, come indagato.
“Ora è indiscutibile – scrivono gli avvocati – che al momento dell’emissione di questa delibera, il Presidente della Regione fosse pienamente consapevole di essere indagato per i fatti di Rigopiano, sicché ricorre con chiarezza una situazione in cui il pubblico ufficiale avrebbe dovuto astenersi vertendo la dgr 318/2018 su fatti concernenti un interesse proprio, ovvero giustappunto la sua posizione di indagato per responsabilità risalenti alla sua condotta quale presidente della Regione Abruzzo”.
Non solo: la consulenza ha come obiettivo la verifica della sussistenza del nesso di causalità tra la serie di scosse sismiche e la valanga, e quindi secondo i legali, sarebbe comprensibile per una posizione difensiva ma non è utile alla costituzione di parte civile della Regione contro i suoi dirigenti e amministratori.
“Sicchè – scrivono ancora i legali – la conseguenza è che la giunta regionale intende far difendere la costituenda parte civile Regione Abruzzo tramite acquisizione di prove tese a dimostrare l’insussitenza della tesi accusatoria”.
Insomma, una specie di clamoroso conflitto di interessi che configurerebbe, sempre secondo la tesi degli avvocati, un reato di abuso per D’Alfonso e di danno erariale, visto che le due consulenze costeranno 12 mila euro perché la Regione non ha utilizzato professionalità interne.
Ma non soltanto: così, si legge nella denuncia,
“si procura intenzionalmente al presidente e ai dirigenti regionali indagati un ingiusto vantaggio patrimoniale (acquisizione di una consulenza difensiva in contrasto con gli interessi della costituenda parte civile a spese della Regione e a vantaggio degli indagati già iscritti) e si arreca anche ad altri un danno ingiusto, introducendo nell’opera di chi sarebbe chiamato nel futuro processo a dimostrare le colpe degli uomini della Regione, elementi di prova finalizzati alla discolpa delle stesse persone”.
Quindi con la consulenza approvata dalla Regione, si celerebbe secondo Valentini, Tatozzi e Manieri, il reale scopo
“di introdurre nel processo prove finalizzate a discolpare gli accusati, introdotte per il tramite di una parte chiamata ex lege a fornire prove a carico, così violando il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione”.
E i tre legali si concedono anche una battuta:
“L’Ente Regione spende soldi al fine di non essere mai ristorato dai danni subiti dalla condotta dei colpevoli”.
Alla fine, un altro allarmante tassello: tutta l’inchiesta è caratterizzata, sostengono gli avvocati, da una sequela
“di fughe di notizie, dal testo delle intercettazioni alcuni mesi fa, fino a giungere a quella, recentissima, sulle dichiarazioni dell’avvocato Gerardis”,
ex direttore generale della Regione tirata in ballo da D’Alfonso. Fughe di notizie che favoriscono
“condotte quali quelle che hanno portato all’emanazione della delibera 318, in una interazione perversa che rischia di compromettere l’accertamento della verità”.
ps: un presidente col piede in due staffe.