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Data: 10/06/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Di Maio: fermiamo le delocalizzazioni per chi ha avuto fondi

ROMA Mai più contributi alle imprese che delocalizzano. La promessa di Luigi Di Maio arriva a pochi giorni dall'insediamento da ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico. I dossier di crisi aziendali sul tavolo dei due dicasteri sono imponenti, si sa. ma il ministro ne ha raccolti molti anche nelle ultime ore di campagna elettorale per le comunali. E dunque annuncia la rotta da una diretta Facebook: «Ci sono tante crisi aziendali nei territori dei comuni italiani», dice mostrando un faldone di documenti. «Sono tutte crisi aziendali che mi sono state» segnalate in questi giorni, «tra cui la vertenza Ipercoop e Mercatone Uno». Insomma, «C'è tanta sofferenza in tutta Italia, come la vicenda Villa dei Pini di Avellino. Un malloppo raccolto solo in una giornata da persone disperate» che «rischiano di peredere il posto di lavoro» e vivono in un «costante senso di precarietà legato anche a difficoltà aziendali che non sempre sono colpa dell'azienda. Ci sono aziende che vogliono delocalizzare e quelle vanno fermate, soprattutto se come impresa hai preso fondi dallo Stato». Ma ci sono «anche crisi dovute ai crediti verso la Pa».
In realtà, il tema delocalizzazioni, portato con forza di recente all'attenzione di Bruxelles anche dall'ex ministro Carlo Calenda per il caso Embraco, è uno di quelli cari anche alla Lega. Non a caso una proposta di legge già depositata a Montecitorio e firmata tra gli altri da Giancarlo Giorgetti, il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, punta il dico proprio sui traslochi di produzione all'estero. E dunque, sarà tra gli atti di iniziativa parlamentare su cui porrà l'attenzione il nuovo governo Lega-M5s. Il progetto di legge prevede, dunque, che le imprese italiane ed estere operanti in Italia che beneficiano di contributi pubblici o di agevolazioni fiscali e che delocalizzano la produzione (anche in un altro Paese Ue) decadano dai benefici, con l'obbligo di restituire i contributi ricevuti. Questo vale anche se la delocalizzazione avviene tramite cessione di un ramo d'azienda o di attività produttive appaltate a terzi. Si tratta di un ulteriore passo avanti rispetto a quello fatto qualche anno fa. Un emendamento M5s alla legge di Stabilità per il 2014 dispone già che «le imprese operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione, delocalizzino la produzione dal sito incentivato in uno stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50%, decadono dal beneficio e hanno l'obbligo di restituire i contributi». Ma evidentemente non è bastato.
I CASI
I 300 lavoratori della Honeywell per i quali è appena scattato il licenziamento sanno bene di cosa parla di Di Maio. Il gruppo Usa lascerà l'Abruzzo per andare in Slovacchia. Lo sanno bene anche gli oltre 400 lavoratori della Embraco (gruppo Whirlpool) licenziati nel torinese. E anche in questo caso il trasferimento ha come obiettivo la Slovacchia. Poi c'è la K-Flex, leader negli isolanti, che dalla Brianza ha puntato sulla Polonia, Senza dimenticare la svedese Electrolux, che dopo aver rilevato la Zanussi, dal Friuli ha traslocato in Polonia, Romania e Ungheria. Tutte aziende che negli anni hanno incassato contributi pubblici a vario titolo, ammortizzatori sociali e aiuti regionali compresi, e in alcuni casi hanno fruttato anche i fondi Ue per investire all'estero.
Nel caso della Candy, la chiusura degli stabilimenti è andata a favore di Repubblica Ceca, Russia, Turchia e Cina. Anche la Zoppas ha fatto rotta sulla Russia. Ma dalla ex-Omsa controllata dalla Golden Lady alla Ideal Standard, dai call center Almaviva a Fastweb, fino all'Alcoa di Portovesme è lunga la lista dei traslochi.

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