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Pescara, 24/07/2024
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Data: 16/06/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Stadio, il giallo della nomina Raggi: imposta da Bonafede. Di Maio sotto assedio: «Dobbiamo reagire» Il Guardasigilli isolato

ROMA Sperava di non frequentare più i corridoi della procura di piazzale Clodio. E invece, dopo essere sopravvissuta al «Marra-gate» e al «polizza-gate», Virginia Raggi ieri è tornata di fronte al procuratore aggiunto Paolo Ielo per chiarire i suoi rapporti con il sindaco-ombra della Capitale. «Luca Lanzalone? Me lo hanno presentato nel 2017 Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede», avrebbe detto la prima cittadina, ascoltata come persona informata sui fatti, ribadendo la versione ripetuta in ogni sede da quando, mercoledì scorso, il consulente di punta del Campidoglio, voluto dalla sindaca alla presidenza dell'Acea, è finito ai domiciliari per avere ricevuto laute consulenze da Luca Parnasi, il patron dello stadio della Roma a Tor di Valle. Un progetto su cui Lanzalone - pur non avendone titolo, per l'accusa - dava consigli e «si comportava di fatto come un assessore», aveva detto ai pm il 31 maggio l'ex responsabile dell'Urbanistica capitolina, Paolo Berdini, fatto fuori dalla giunta pentastellata proprio per divergenze in merito al progetto-stadio. Lanzalone, ingaggiato a costo zero dal Comune, per i pm sarebbe stato remunerato dall'amico Parnasi e, in cambio, lo avrebbe favorito.
IL NODO
Un'ora di colloquio necessaria ai pm per cercare di sciogliere uno dei nodi cruciali dell'inchiesta. Perché la nomina dell'uomo voluto dai vertici del M5S ha assunto i contorni del giallo: la delibera con cui Lanzalone veniva nominato consulente del Comune a titolo gratuito non sarebbe mai stata formalizzata. Proprio su questo dettaglio si sono concentrate le domande rivolte alla prima cittadina. Intanto Parnasi dal carcere milanese di San Vittore ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere davanti al gip. «Parlerò, ma con il pm», ha detto.
Lanzalone, invece, assistito dall'avvocato Giorgio Martellino, ha parlato per più di tre ore di fronte al gip Maria Paola Tomaselli e alla pm Barbara Zuin. Ha respinto le contestazioni - corruzione, per avere accettato «lucrosi incarichi» da Parnasi e per averlo poi agevolato in particolare nelle procedure amministrative connesse alla realizzazione dello stadio - sostenendo di non avere mai commesso illeciti. In ogni caso, per la difesa non avrebbe fatto nulla di illegittimo: non avendo mai ottenuto deleghe formali, non avrebbe agito in conflitto d'interesse accettando incarichi da Parnasi. La procura gli contesta di essere stato un consulente «di fatto» del Comune, ma la sua difesa sostiene non avesse alcun ruolo, tanto che la delibera relativa alla sua nomina non sarebbe mai stata formalizzata. Al termine dell'interrogatorio, il suo legale ha presentato istanza di scarcerazione.
L'INQUADRAMENTO
L'inquadramento di Lanzalone sarebbe stato al centro anche del colloquio tra gli inquirenti e Franco Giampaoletti, direttore generale del Campidoglio, ascoltato subito dopo la Raggi. La vicenda si fa intricata alla fine di maggio, quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Roma acquisiscono in Comune la documentazione relativa al ruolo di Lanzalone. Dagli uffici del personale rispondono che il nominativo non esiste: non risultano incarichi conferiti negli anni 2016 e 2017, nemmeno a titolo gratuito. Una circostanza singolare visto che, agli atti dell'inchiesta, c'è una richiesta del marzo 2017 protocollata e inviata dalla sindaca al direttore delle risorse umane e al segretario generale, nella quale si propone la nomina di Lanzalone come consulente «ad alto contenuto di professionalità».
Dopo aver appreso di essere iscritto nel registro indagati, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha chiesto di essere convocato dai pm: «Voglio chiarire subito questa vicenda».

Di Maio sotto assedio: «Dobbiamo reagire» Il Guardasigilli isolato

ROMA Due crisi allo specchio. Che si guardano, ma senza parlarsi. Virginia Raggi fa la spola tra la Procura e il Campidoglio. Ai magistrati ripete che Luca Lanzalone le fu presentato dai ministri Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, poi rientra in un bunker «rassegnato» e «negativo» dove regna la schizofrenia, come dimostra il pasticcio politico e comunicativo sulla via da intitolare a Giorgio Almirante.
«È serena», ripetono i suoi. Sottotitolo: i problemi, semmai, sono di «quelli del Nazionale», come la sindaca chiama i vertici del M5S. Nel pomeriggio arriverà un blando comunicato di solidarietà dei capigruppo alla Camera e in Senato al motto «basta fango». Ma i pezzi da novanta tacciono. E il blog delle stelle non rilancia la sua posizione sulla vicenda stadio. Oscurata.
Non lontano dal Campidoglio, in via Veneto sede del Mise, Luigi Di Maio dopo giorni di riunioni nervose con il «suo» ministro della Giustizia Bonafede riunisce il resto della compagine di governo grillino. Rincuora le truppe sulla tenuta dell'esecutivo e prova ad uscire dal cono d'ombra delle ultime 72 ore, che si somma a un debutto sovrastato dall'esposizione mediatica del «socio» Matteo Salvini che sta dettando l'agenda.
ASSEDIATO
Preoccupa, e molto, la situazione del Guardasigilli. Tra gli ortodossi del M5S sono in molti i parlamentari pronti a chiedere un passo indietro a Bonafede qualora uscissero intercettazioni rilevanti politicamente («Sarà lui quello negli omissis?»). Dal Pd anche Matteo Renzi intuito il punto di caduta più debole di questa vicenda attacca: «Il ministro deve chiarire in Senato i suoi rapporti con Lanzalone».
Dopo giorni sotto botta, Di Maio capisce che deve in qualche modo reagire e così per «rialzare la testa» ritorna in pubblico.
E dunque va a Pomezia per sostenere il candidato al ballottaggio Adriano Zuccalà e prova a respingere con le mani la bufera appena scoppiata e dai contorni tutti da decifrare: «È un grande equivoco - dice a margine del comizio, sorvolando dal palco sulla vicenda - è tutto un grande malinteso. Io sono tranquillo». È il braccio destro, titolare della Giustizia, che sembra scomparso dai radar. Pesa il legame con l'ex presidente di Acea, finito ai domiciliari. Si aspettano nuove rivelazioni, intercettazioni compromettenti. Impossibile anche segnare una linea di strategia dopo dichiarazioni tipo «da noi non esiste la presunzione d'innocenza». Una frase che colpisce anche il Campidoglio, dove c'è una sindaca - stanca e che ha bisogno di riposare dopo una settimana da incubo - che giovedì sarà alle prese con il processo sul caso nomine (è imputata per falso).
IL CLIMA
E il tutto accade in un Comune abbastanza deserto. Gli uomini di fiducia di Lanzalone e piazzati nelle postazioni chiave sono molteplici. Dall'assessore al Bilancio, made in Livorno, Gianni Lemmetti («Qui era molto importante») al direttore generale Franco Giampaoletti, proveniente dal Comune di Genova. Nei gangli della tentacolare amministrazione capitolina i radar del manager erano tantissimi. Tanto che più si bussa alle porte che contano e più si ricevono queste risposte: «Io non sono ancora indagato, certo se escono le nostre intercettazioni...». Ed è proprio questo il timore diffuso che attraversa verticalmente il M5S. Fino ad arrivare ai vertici: Di Maio, Bonafede, Fraccaro. Ma anche Davide Casaleggio, a cena con il manager prima dell'arresto. E poi c'è Beppe Grillo, scomparso quanto reclamato in questo momento a tratti «drammatico». Oggi il figlio di Gianroberto, sarà a Roma per la due giorni del City Lab Rousseau. La sindaca Raggi passerà il week-end in famiglia, con moglie e figlio, per riposarsi: non andrà all'evento. Un messaggio al M5S e una forma di autotutela: la prossima settimana è quella del processo.

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