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Pescara, 24/07/2024
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Data: 29/06/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Inchiesta Rigopiano - «In quei giorni l'Abruzzo era il Vajont». D'Alfonso sentito per un'ora e mezza in procura. La difesa del governatore-senatore indagato: ci fu un'emergenza nazionale

PESCARA Quei due giorni sono stati per l'Abruzzo come il Vajont. Una tragedia senza precedenti. Una tragedia enorme che spinse il consiglio dei Ministri a deliberare lo stato di emergenza nazionale. Su questo punto sostanziale si è basato ieri mattina l'interrogatorio di Luciano D'Alfonso indagato per i reati colposi di omicidio, lesioni e disastro nell'inchiesta sui 29 morti di Rigopiano.
MOSSA DA DRIBBLING. Un'ora e mezza di interrogatorio davanti al procuratore Massimiliano Serpi e al sostituto, Andrea Papalia. Ma all'uscita il governatore e il suo difensore di fiducia, Giuliano Milia, dribblano i cronisti passando per il garage del palazzo di giustizia. Quindi nessuno dei due rivela il contenuto del faccia a faccia. Anche se tutto è deducibile attraverso la memoria difensiva, presentata a maggio da D'Alfonso, e il rapporto finale dei carabinieri forestali, depositato a giugno.
MI RICORDO CHE. La memoria si riferiva alla prevenzione, cioè alla mancata realizzazione, prima della tragedia di Rigopiano, della carta per la localizzazione del pericolo valanghe (Clpv). Il rapporto, invece, è un focus sui tre giorni maledetti della grande emergenza: il 16,17 e 18 gennaio del 2017. Nessuno parla. Nessuno rivela i contenuti dell'interrogatorio, ma sui due temi nodali dell'inchiesta per i 29 morti nel resort, non è difficile dedurre la difesa del numero uno della Regione.
L'EMERGENZA. Chi e quando doveva decidere la riunione del Comitato operativo regionale di emergenza (il Core)? Chi aveva il quadro completo della situazione drammatica che interessava l'intero Abruzzo? E quale tipo di emergenza c'era il 18 gennaio 2017?Dalle carte risulta che il Core si riunì a Pescara solo «alle 15,30 del 18 gennaio 2017, con due giorni di ritardo. Così scrivono nella loro denuncia contro D'Alfonso i legali del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, indagato con altre 38 persone. Ma il 18 gennaio era troppo tardi perché meno di due ore dopo l'insediamento del Core la valanga travolse l'hotel Rigopiano. Perché il ritardo?A questa domanda D'Alfonso deve aver risposto, come ha già fatto in passato, che per legge non spettava a lui, ma al dirigente richiedere la convocazione del Core. Su quale base doveva farlo? Sulla base delle informazioni che giungevano dalla Sala operativa della Protezione civile che si trova all'Aquila ed è attiva 24 ore su 24.
ERA UN'ALTRA. Il Core, per inciso, quel giorno si riunì a Pescara perché Antonio Iovino, dirigente della Protezione civile abruzzese, si trovava nel capoluogo adriatico. Ma al di là di questo aspetto marginale c'era un punto essenziale da chiarire, uno dei tasselli più importanti da inserire nel mosaico della ricostruzione della tragedia: perché il comitato si riuni? Non per intervenire in caso di valanga ma per affrontare un'altra emergenza, quella elettrica, sorta in modo imponente il 17 gennaio. Era un'emergenza che aveva riguardato 200mila utenze abruzzesi. Anche gli ospedali, come quello di Atri e le fabbriche, come la Cordivari del Teramano in cui era cessata la produzione, erano rimasti senza energia elettrica. Così, alle 15, 30 di quel 18 gennaio, la preoccupazione di D'Alfonso, dei dirigenti e del direttore di dipartimento, era tutta focalizza sul black out che aveva messo in ginocchio l'intera regione con effetti diffusi tanto da causare, nei mesi successivi, pesanti contraccolpi economici così gravi da abbassare il Pil (prodotto interno lordo) dell'Abruzzo.
NESSUNO LO AVVISÒ. Ma il 18 gennaio, nessuno aveva messo al corrente la Regione della situazione di Rigopiano, neppure il sindaco Lacchetta, come concludono nel loro rapporto i carabinieri forestali e come D'Alfonso deve aver risposto ieri al procuratore. Poi, attraverso documenti, compresi post pubblicati su Facebook oltre che mail e tabulati telefonici, il governatore avrebbe dimostrato ai pm qual è stato il suo impegno nelle ore di massima emergenza in cui si è attivato superando competenze e ruoli stabiliti dalla legge. DA CURCIO A PINOTTI. Il 16 e il 17 gennaio 2017 era a Palazzo Chigi per incontrare Vasco Errani e Fabrizio Curcio, che allora erano rispettivamente Commissario straordinario per la ricostruzione e capo della Protezione civile. Mentre il 17 gennaio, in piena emergenza black out, sempre lui telefonava di persona ai vertici dell'Enel e all'allora ministro della Difesa, Roberta Pinotti, perché la voce di un presidente è più autorevole rispetto a quella del direttore dipartimento. Furono due le telefonate alla Pinotti dopo che il sindaco di Chieti, Umberto di Primio, aveva chiesto alla prefettura l'intervento dell'esercito. Ma per D'Alfonso non c'era tempo da perdere dietro gli iter burocratici governativi. Così, su istanza di Di Primio, decise di rivolgersi direttamente al ministro che mandò in Abruzzo un contingente militare. Passiamo quindi all'altro aspetto, quello della prevenzione e la mancata Clpv.
LOTTI E FONDI. La memoria inviata da D'Alfonso dà già un quadro completa con due punti da chiarire. Perché all'iniziò fu scelto un appalto a lotti per redigere la carta del pericolo valanghe? La risposta che possiamo attribuire a D'Alfonso è quella tecnica da lui già detta più volte, e cioè che la Carta storica delle valanghe dimostrava che la frequenza maggiore di eventi riguardava il versante aquilano del Gran Sasso e non Rigopiano.
BASTERA? Infine, perché i soldi per la Clpv si sono trovati solo dopo la tragedia del resort? Certamente perché l'emotività ha giocato in questo caso il suo ruolo, ma quei fondi (1,3 milioni di euro) furono reperiti dopo la strage dell'hotel quando la Regione liberò in bilancio la somma equivalente grazie allo sblocco dei pensionamenti nell'ente. Basta alla procura tutto questo per decidere lo stralcio della posizione del governatore-senatore e chiederne l'archiviazione? Nessuno può dirlo. D'Alfonso si limita a commentare il suo interrogatorio con un laconico comunicato: «Questa mattina sono stato audito per circa due ore dai pubblici ministeri titolari dell'inchiesta sull'hotel Rigopiano. Sono molto soddisfatto dell'incontro. Ho risposto in maniera articolata alle domande puntuali dei magistrati, fornendo tutti i chiarimenti che di volta in volta mi venivano richiesti». Ma non rivela nulla di più.

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