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Data: 02/07/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Decreto dignità, in forse anche le norme fiscali

ROMA Il giorno della verità potrebbe essere già oggi. Il decreto dignità, il primo vero provvedimento del governo Conte, sarà esaminato in un preconsiglio dei ministri. Se non ci saranno intoppi, il decreto dovrebbe vedere la luce già oggi o al massimo domani. Ma il testo al quale da ormai quindici giorni lavorano i tecnici del ministero dello Sviluppo economico e quelli dell'Economia, rischia di perdere altri pezzi. Dopo la decisione di stralciare le norme sulla «somministrazione», quelle sullo «staff leasing», ossia il lavoro in affitto, e la reintroduzione dei voucher, adesso è il pacchetto fiscale ad essere sotto esame.
Le riforme annunciate dal ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, sono sostanzialmente tre: l'abolizione del redditometro, l'abolizione dello spesometro e l'abolizione dello «split payment», il meccanismo che obbliga a trattenere direttamente l'Iva da parte degli acquirenti di beni e servizi. Mettere mano a questi capitoli si è rivelato più difficile del previsto. Il motivo è che, ognuna di queste misure, garantisce un rilevante gettito alle casse dello Stato. Il solo split payment negli ultimi due anni ha consentito di aumentare gli incassi Iva di 3,5 miliardi.
Sul tavolo, allora, ci sono due ipotesi. La prima è una riforma estremamente light di questi strumenti. Nelle ultime bozze circolate, non si parla più di abolizione dello spesometro (che tra le altre cose già a bocce ferme cesserebbe di esistere dal primo gennaio 2019 con l'avvento della fatturazione elettronica), ma solo del rinvio della scadenza dell'ultima comunicazione delle spese oggi prevista per settembre e che potrebbe essere spostata a fine anno.
I RITOCCHI
Anche per il redditometro la parola «abolizione» non compare, sostituita da una semplice «revisione» dello strumento. Che, tra le altre cose, è ormai in disuso essendo utilizzato solo in poche migliaia di casi. Stesso discorso per lo split payment. La misura antievasione per l'Iva verrebbe cancellata soltanto per i professionisti. In questo modo si riuscirebbe a contenere il costo per le casse dello Stato ad una trentina di milioni. Ma la domanda che inizia a circolare nei ministeri è se, a questo punto, valga la pena inserire nel provvedimento un pacchetto fiscale così ridimensionato rispetto alle promesse iniziali. Sarà questo uno dei nodi che dovranno essere sciolti nel preconsiglio di oggi. Cosa resta, dunque, del provvedimento? La riduzione da 5 a 4 dei rinnovi dei contratti a termine fermo il termine massimo di durata di 36 mesi e l'aumento dei contributi a carico dell'impresa per ogni rinnovo di un contratto precario, la sanzioni fino a quattro volte gli incentivi ricevuti per chi delocalizza le imprese dopo aver incassato aiuti dallo Stato, e la stretta sulla pubblicità dei giochi.
Quest'ultima potrebbe, a questo punto, essere la misura più costosa del decreto dignità. Secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato, la perdita di gettito sarebbe di poco più di 200 milioni l'anno (700 in un triennio). Le coperture restano ancora un rebus. I tecnici del ministero dello Sviluppo hanno proposto un taglio del Fondo sanitario nazionale, ma il ministero della salute si sarebbe espresso contro.

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