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Data: 04/07/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Lavoro, il no delle imprese Conte: «Non siamo nemici». Un milione di contratti sono a rischio rinnovo

ROMA «Non siamo contro le imprese». Il premier Giuseppe Conte presenta il primo provvedimento economico del governo cercando di allontanare le critiche che, da più versanti, piovono sul giro di vite contro i contratti a termine. Una strategia che Palazzo Chigi, peraltro, rivendica. «Abbiamo adottato misure che contrastano la dimensione precaria del lavoro: una condizione esistenziale che non può protrarsi nel tempo e che non può essere l'unica misura dei rapporti» ha detto il premier durante la conferenza stampa sul Decreto dignità. Quanto al possibile ricorso al voto di fiducia, Conte è stato sibillino. «Rispettiamo la centralità del Parlamento ha avvertito il premier - ma ci aspettiamo coerenza da parte della maggioranza su questo fronte». Al suo fianco, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha fissato i quattro punti fondanti del provvedimento. «Diamo un colpo mortale al precariato ha esultato ilcapo politico M5S - licenziando il Jobs Act , diamo un altro colpo mortale alla parte più insidiosa della burocrazia, per cui ci diranno che vogliamo favorire gli evasori quando vogliamo favorire i cittadini onesti, siamo il primo Paese in Ue che dice stop al gioco d'azzardo e diciamo no alle multinazionali che vengono qui, prendono soldi e delocalizzano».
CAPITOLO FISCALE
Quanto al fisco, il vicepremier ha riconosciuto che le mosse adottate sono state piuttosto timide. «Eliminare lo split payment per le partite Iva è un gran successo, dovremo fare di più e lo faremo» ha promesso. In effetti anche l'Istituto nazionale tributaristi ha lamentato le mancate semplificazioni. Alle opposizioni, e in particolare al Pd (l'ex premier Paolo Gentiloni ha definito le norme del decreto «un ostacolo al lavoro e agli investimenti») il vicepremier ha replicato con durezza affermando che le censure «vengono da chi ha massacrato i diritti sociali, invece di difenderli». «Finalmente - ha proseguito Di Maio - siamo un Paese orgoglioso di essere l'Italia, con un governo che comincia a difendere le fasce più deboli della popolazione». Lo stesso Di Maio in precedenza aveva parlato di 13 milioni di posti di lavoro da creare nei prossimi 6-7 anni «abbassando il costo del lavoro in maniera selettiva»; ma aveva chiarito che non si trattava di un annuncio ma di una riflessione sulle trasformazioni del mondo del lavoro.
LE REAZIONI
Il commento di Matteo Salvini al decreto si è concentrato sulla stretta anti-delocalizzazioni. «Finalmente ha spiegato il leader della Lega il nostro governo punirà gli imprenditori furbetti e le multinazionali straniere». Proprio il mondo delle aziende è stato il più severo nei confronti del decreto. «Si tratta di un segnale molto negativo» ha attaccato senza mezzi termini Confindustria. Confcommercio parla di «grave marcia indietro che introduce forme di inutile e dannosa rigidità». Non meno pesante il giudizio di Confartigianato, secondo la quale «si introducono rigidità e costi per le imprese senza peraltro creare benefici per i lavoratori: non è così che si favorisce l'occupazione». Diffuse aperture di credito, invece, dal mondo sindacale. «Ci sono alcune novità che vanno nella direzione giusta come le causali sui contratti a termine» ha notato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, spiegando che «il Jobs act ha ridotto le tutele: è più facile licenziare che non ricorrere agli ammortizzatori sociali». Per il leader Cisl, Annamaria Furlan, che proprio ieri in occasione della Conferenza dei servizi in rete Cisl ha ospitato il ministro Di Maio, «meno precarietà significa dare più certezza ai nostri giovani. Esamineremo il testo del decreto con molta attenzione» ha concluso. Per Carmelo Barbagallo, numero uno Uil, «il decreto dignità va nella direzione giusta, ma sono necessari alcuni aggiustamenti».

Un milione di contratti sono a rischio rinnovo

ROMA E ora sono tanti i precari che tremano. Al di là delle intenzioni del governo, che vorrebbe per loro un futuro più stabile, le nuove norme sui contratti a termine potrebbero rivelarsi un boomerang nel privato. Le organizzazioni datoriali infatti in queste ore stanno consigliando ai loro associati di stare attenti con i rinnovi. Non è tanto e solo per il costo più alto (il decreto prevede per ogni rinnovo a partire dal secondo un costo contributivo crescente dello 0,5%) ma per il rischio contenziosi.
Le nuove norme più restrittive (un limite massimo di durata che si riduce da tre a due anni, numero di possibili proroghe tagliate da 5 a 4, reintroduzioni delle causali passati il primo anno di contratto) valgono anche per le proroghe e i rinnovi dei contratti in corso, compresi quelli in somministrazione. Il decreto è chiaro: «Le disposizioni trovano applicazione ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente all'entrata in vigore del presente decreto nonché ai rinnovi ed alle proroghe dei contratti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto».
LA MAPPA
Secondo una stima di Datagiovani, da qui alla fine dell'anno andrà in scadenza il 55% dei contratti a termine in essere. In totale sono ben un milione e seicentomila rapporti. Di questi, però, oltre mezzo milione (526.00) sono nella pubblica amministrazione, che non viene toccata dalle nuove norme. Ma per più di un milione di lavoratori inizia la paura. I settori più coinvolti sono quelli dell'industria e delle costruzioni (288 mila contratti in scadenza) seguiti dall'agricoltura (170 mila) e dal commercio (178 mila contratti). Poi vengono le attività finanziarie, assicurative e immobiliari (134 mila), gli alberghi e i ristoranti (163 mila). Il 47,2% sono giovani under 35, il 52,1% donne, il 25% ha più di 45 anni, oltre il 40% ha un diploma e più di un quarto è laureato. La metà dei contratti (49,4%) si concentra al Nord. Già entro l'estate ci sarà il primo test: sono ben 661.000 i contratti in scadenza nel privato.
Certamente non tutti sarebbero stati rinnovati, soprattutto quelli stagionali. Ma tanti altri invece sì.
LE COMPLICAZIONI
Adesso invece si fa tutto più complicato. Chi sta concludendo i due anni di contratti a termine con la stessa azienda, potrà sperare solo nell'assunzione a tempo indeterminato. O cercarsi un'altra azienda. Ma anche chi ha superato la soglia dei 12 mesi di contratti potrebbe vedere sfumare quel lavoro, che per quanto precario, è comunque un'occupazione che ti fa portare uno stipendio a casa. Dopo il primo anno, rinnovi e proroghe, infatti, adesso dovranno sottostare a specifiche causali. Ecco quelle consentite: esigenze temporanee ed oggettive, estranee all'ordinaria attività del datore di lavoro; ragioni sostitutive; esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria; ragioni relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del Ministero del lavoro. Tanto per fare qualche esempio: se ci sono lavoratrici che vanno in maternità, al loro posto l'azienda può assumere un sostituto con contratto a termine; lo può fare anche se arriva una commessa straordinaria che prevede consegne in tempi rapidi. Il ritorno alle causali (c'erano prima del Jobs Act) non può invece comprendere i fatti ordinari dell'attività aziendali.
In passato questa cosa aveva prodotto enormi contenziosi tra lavoratori e aziende. «Erano enormemente diminuiti con la liberalizzazione» osservano i consulenti del lavoro. Il timore è che adesso nuovamente il lavoratore possa trascinare l'azienda davanti al giudice contestando la causale e pretendendo l'assunzione a tempo indeterminato. L'Unione degli Artigiani di Milano ha già diffuso una nota ai suoi associati: «Sconsigliamo alle imprese di stipulare o rinnovare rapporti di lavoro a tempo determinato, a forte rischio contenziosi» si legge. Un rischio sul quale insistono praticamente tutte le organizzazioni datoriali, da Confimprese a Confesercenti, da Confindustria a Confcommercio e Cna. Per il governo invece sono allarmi ingiustificati. Il vicepremier Luigi Di Maio è tranchant: «Se il tema è il pericolo di più contenziosi sono tranquillo, perché il ministro della Giustizia Bonafede ha un piano per rafforzare i tribunali».

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