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Data: 04/07/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il flirt di M5S con la Cgil e quei segnali a sinistra

ROMA «Questo governo parla alla nostra gente». Parole di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, pronunciate durante la faticosa nascita dell'esecutivo gialloverde. A distanza di un mese, il decreto dignità ,lanciato in queste ore dal ministro del lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, segna il primo incrocio significativo fra la traiettoria del nuovo governo e quella dei sindacati italiani. Un segnale forte che si aggiunge a rendez vous degni di nota come il voto pentastellato da parte del 33% degli iscitti Cgil e la recente elezione di una sindacalista Uil a sindaco di Imola da parte del M5S.
Il primo bilancio di questo flirt è netto: il decreto non ha portata epocale, non scalfisce il Jobs Act, né prevede norme innovative ad esempio sulle partite Iva o sull'uso delle nuove tecnologie sui posti di lavoro e tuttavia raccoglie, anzi talvolta saccheggia e rilancia, alcune proposte care al sindacato, in particolare alla Cgil e ad una parte del Pd.
IL CONSULENTE
Non è un segreto che alcuni giuslavoristi vicini alla Cgil, come il professore emiliano Giovanni Alleva, siano stati fra gli artefici del decreto, contribuendo anche a scriverne puntute poi sono saltate come quella che prevedeva lo smantellamento dello staff leasing (ovvero di lavoratori a tempo indeterminato che vengono prestati da agenzie specializzate ad aziende). Nei giorni scorsi l'ex sindacalista dalla Cgil nonché ex deputato Pdl Giuliano Cazzola ha svelato che un intero pezzo della bozza del decreto (quello sulle causali che le imprese dovranno tornare a presentare quando assumeranno un lavoratore a tempo determinato dopo i primi 12 mesi) era copiato dall'articolo 50 della Carta dei Diritti universale dei lavoratori che la Cgil nelle scorse settimane ha presentato ai presidenti delle Camere.
Smentisce invece una sua attiva partecipazione alla stesura del decreto Maurizio Landini, ex segretario Fiom oggi salito in Cgil. «Posso fare una battuta? - risponde al telefono Landini, divertito - Se davvero l'avessi scritto io non avrei iniziato a smontare il Jobs Act. L'avrei smontato». L'ex numero uno della Fiom, però, dà atto a Di Maio d'aver inviato alcuni segnali «giusti» ma al tempo stesso sottolinea «la mancanza di coraggio e di organicità del provvedimento». Una promozione a metà, dunque? «No - sottolinea Landini - La Cgil, non io, giudicherà il governo sulla base di fatti concreti. Vedo qualcosina ma nulla di organico, né sul lavoro né sulle delocalizzazioni né sul fisco».
Chi a sinistra invece mastica amaro è Cesare Damiano, un lungo passato nella Fiom, poi ministro del Lavoro e infine esponente della minoranza Dem che nella scorsa legislatura fece approvare un emendamento (poi bocciato dal governo Gentiloni) che aumentava il costo dei licenziamenti illegittimi esattamente nella misura prevista dal decreto Di Maio. «Quello fu un errore ideologico del Pd guidato da Renzi - si sfoga Damiano - Il Pd ha perso così la sua carta identitaria di partito del lavoro regalando voti a M5S e Lega».
Tuttavia il giudizio di Damiano sul decreto Dignità è assai negativo. «Tra i molti errori c'è quello di attaccare il lavoro somministrato che oggi costa il 20% in più di quello indeterminato - spiega Damiano - Non c'è nulla di male nel concedere all'impresa più flessibilità in cambio di un aumento del costo del lavoro. In Parlamento ci batteremo per cambiare queste norme che penalizzano sia le imprese che i lavoratori».
L'obiettivo del Pd, o almeno dei dem che gravitano intorno alle correnti più di sinsitra, sembra essere quello di posizionare i primi cunei nelle possibili crepe del rapporto fra 5Stelle e Lega in vista della fine della luna di miele del governo. «Il decreto è a costo zero per l'esecutivo. Così come fermare due navi non costa nulla - sottolinea Damiano - Ma presto saranno dolori». E in fondo una linea di intelligenza fra M5S e spezzoni di sinistra fa comodo anche ai pentastellati: fa parte di quel piano B da manutenzionare con cura con un alleato scomodo come il Carroccio.

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