ROMA Un disegno di legge espressione della maggioranza giallo-verde da indirizzare alla commissione Lavoro del Senato la prossima settimana. È questa la scelta del governo sul tema del cosiddetto taglio delle pensioni d'oro, vale a dire quelle che superano 4-5 mila euro netti. Dunque la riforma non sarà affidata ad una iniziativa di Palazzo Chigi ma seguirà un iter diverso rispetto, ad esempio, al decreto dignità. La soglia su cui intervenire è ancora oggetto di discussione ma il meccanismo è chiaro: gli assegni dovranno essere proporzionati ai contributi versati, il resto si taglia.
IL PROGETTO
A confortare il progetto sono arrivate ieri le parole di Tito Boeri. «Non trovo nulla di riprovevole nel fatto che ci siamo persone che si sono guadagnate delle pensioni alte pagando fior di contributi per tutta la propria carriera lavorativa, ma bisogna intervenire su quello che hanno in più rispetto a quanto versato» ha riconosciuto il presidente dell'Inps. Il quale ha ricordato una possibile riforma delle pensioni consisterebbe nel ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni sopra i 5 mila euro lordi. «Una platea di 200 mila persone ha esemplificato Boeri - permetterebbe di recuperare, mettendoci dentro anche i vitalizi, quasi un miliardo». Il numero uno dell'Inps ha anche replicato a Matteo Salvini che lo aveva criticato dopo le affermazioni sull'importanza dei contributi pagati degli immigrati regolari. «Tutti i giorni mi devo occupare di cose concrete. Qualcun altro che ha promesso di tutto e di più ora dovrebbe mettere i piedi per terra, essere realista e spiegare cosa vuole fare» ha ammonito Boeri.
I TRATTAMENTI
Tornando al taglio delle pensioni d'oro, il vero nodo è, appunto, individuare la soglia dei trattamenti oltre la quale far partire l'operazione. Sopra i 5 mila euro netti, i pensionati colpiti sarebbero 27 mila con un risparmio per lo Stato pari a 115 milioni. Dunque i benefici per il bilancio pubblico sarebbero contenuti, ma per gli interessati la penalizzazione netta (in media intorno al 5-6 per cento) sarebbe più che compensata in caso di entrata in vigore della cosiddetta flat tax che ha in mente il governo, che più correttamente è una tassazione del reddito basata su due aliquote, 15 e 20 per cento. Ad esempio una pensione di 10 mila euro lordi, che in termini netti ne vale circa 5.840, sarebbe decurtata di 285 euro netti al mese, ovvero 3.700 l'anno. Complessivamente la minore spesa pensionistica sarebbe intorno ai 210 milioni, ma visto che lo Stato incasserebbe meno Irpef (perché i redditi si riducono) il beneficio effettivo scenderebbe come detto a 115 milioni. Un impatto ovviamente molto più robusto avrebbe un taglio su tutti gli assegni sopra i 4 mila euro netti. In questo caso i soggetti interessati sarebbero circa 100 mila ed il risparmio per le casse previdenziali salirebbe a quota 800 milioni. In termini generali, il meccanismo prevede la cancellazione della quota non giustificata dai contributi versati. Di fatto dunque gli assegni verrebbero ricalcolati con il sistema totalmente contributivo: procedura alquanto complessa che naturalmente può dare esiti anche molto diversi tra pensionato e pensionato.