Fino all'una del pomeriggio in Atac hanno cliccato il tasto «aggiorna» della pec aziendale, confidando di vedere apparire almeno un'offerta. I segnali, fino a quel momento, erano stati positivi. I contatti con una grande azienda italiana e con una ditta polacca, pur ufficiosi, nei giorni scorsi avevano fatto ben sperare, tanto che nel quartier generale di via Prenestina ieri si aspettavano due proposte, non una. Invece alla scadenza fissata nel bando pubblicato il 23 maggio scorso, le 13 di ieri, la casella di posta elettronica è rimasta incredibilmente vuota. Offerte: zero. Nessuno ha voluto vendere alla più grande partecipata dei trasporti del Paese 320 bus, nonostante i 98 milioni di euro messi sul piatto direttamente dal Campidoglio, che aveva sfruttato la sua controllata con i conti in rosso solo come stazione appaltante, ben consapevole che fino a quando non arriverà la decisione dei giudici sul concordato preventivo, difficilmente qualcuno si sarebbe fidato di un appalto bandito dall'Atac da sola. Ma la garanzia del Comune non è bastata, evidentemente. E ora tocca aggrapparsi a una trattativa diretta, magari alzando il prezzo di acquisto, sperando che qualcuno ci ripensi e stavolta accetti.
SENZA GARANZIE
Certo il flop del bando arriva nel momento peggiore, per l'azienda che gestisce bus, tram e metro nella Capitale. Proprio in queste settimane è atteso il pronunciamento del Tribunale fallimentare. Dopo il parere positivo della Procura di Roma, si intravedeva un certo ottimismo ai piani alti di questo colosso da 12 mila dipendenti, con un debito di 1,3 miliardi. Il fiasco dell'appalto sui nuovi bus è arrivato come una doccia fredda. Ora tocca trovare un rimedio in tempi davvero rapidi, altrimenti il piano di concordato sarebbe a rischio bocciatura, perché i magistrati hanno chiesto dati certi sul rinnovo del parco mezzi.
Nelle rimesse dell'Atac l'età media dei bus è 12 anni, contro i 6 anni e mezzo di Londra e Parigi, e infatti il 40% delle navette è inutilizzabile. Il ricambio dei veicoli è uno dei pilastri del piano di salvataggio. I primi 278 bus avrebbero dovuto arrivare nei depositi già da maggio 2019, il piano industriale ne prevede altri 370 nel 2020 e 97 nel 2021. Sono essenziali per incrementare i chilometri, la produttività degli autisti e quindi, in buona sostanza, i ricavi. Senza le navette immatricolate di fresco, lo sforzo messo in campo dal management in questi mesi sarebbe vano e l'azienda arriverebbe a un centimetro dalla bancarotta. Atac ieri ha fatto sapere che «avvierà nuove verifiche di mercato». Ma la preoccupazione resta. E lo stesso in Campidoglio, dove incredibilmente da quasi tre mesi giace la bozza del bilancio 2017 che aspetta solo l'approvazione della giunta, dopo l'avallo del Cda che risale allo scorso 27 aprile. Non è chiaro perché non sia ancora stato licenziato, anche perché i magistrati del concordato (e i commissari) hanno più volte fatto capire di volerlo visionare prima di decidere sulla procedura fallimentare.
GIUNTA SOTTO ACCUSA
Il caso scuote la giunta di Virginia Raggi. Fratelli d'Italia, che col capogruppo Andrea De Priamo aveva segnalato il rischio flop per la commessa pubblica, ha annunciato una mozione di sfiducia contro l'assessore ai Trasporti, Linda Meleo. I grillini per ora fanno quadrato: «Sarà respinta». Il Pd, con la consigliera Ilaria Piccolo, si è detto preoccupato per le sorti del piano di salvataggio e ha attribuito il fallimento della gara alla «scarsa fiducia del mondo industriale verso Atac».