ROMA Alla fine la soluzione si è trovata: Fabrizio Palermo sarà il nuovo amministratore di Cassa depositi e prestiti. Lo chiedeva la Lega e lo pretendeva il M5S che alla fine l'ha spuntata sul ministro dell'Economia, Giovanni Tria, al termine di un braccio di ferro durissimo le cui conseguenze ieri si sono viste anche sul rendimento dei titoli di Stato italiani.
IL NODO La tensione però resta e il vertice convocato ieri mattina a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte con Tria, il sottosegretario Giorgetti e il vicepremier Di Maio, non risolve il nodo di un ministro che i due soci di maggioranza ritengono «troppo autonomo» e non in linea con il contratto di governo.
Alla fine la battaglia su Cdp finisce con un pareggio tra le due opposte fazioni. M5S e Lega ottengono la nomina di Palermo, mentre il titolare del Mef quella di Alessandro Rivera, ostegiatissimo dal M5S, a direttore generale del Tesoro. Non solo.
Mentre le Fondazioni ottengono che il presidente da loro scelto, Massimo Tononi, abbia deleghe pesanti, Tria spunta anche rassicurazioni sul Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco e su tutta la struttura del Mef che nei giorni scorsi post pentastellati accusavano di essere parte della manina che avrebbe rovinato la festa del cosiddetto Decreto dignità ipotizzando minori occupati.
La vicenda della Cdp si chiuderà ufficialmente martedì 24 con l'assemblea dei soci, ma le tensioni nel governo rimangono fortissime e il ministro Tria, custode dei conti pubblici, resta sotto assedio nel fortino di via XX Settembre dove però grillini e leghisti sono stati fermati sull'uscio, con i loro sottosegretari e vice senza deleghe e ancor più nervosi per i problemi giudiziari che si sono abbattuti sul ministro Paolo Savona che doveva rappresentare per Di Maio e Salvini un'alternativa dialettica alle tesi del responsabile dell'Economia.
IL COLLOQUIO Quanto potrà durare la coabitazione di Tria con i due vicepremier è difficile dirlo anche se ieri il premier Conte è riuscito a placare gli animi. Ciò ha permesso al presidente del Consiglio di recarsi un po' più sereno al Quirinale. Durante il colloquio con Sergio Mattarella, reduce da una missione nel Caucaso e nei Baltici, non sono state analizzate direttamente le tensioni nella maggioranza, ma l'eco del braccio di ferro è rimasto anche quando si è parlato del recente vertice Nato o dell'annunciato Milleproroghe.
Un decreto che solitamente i governi facevano a fine anno, ma che stavolta viene anticipato di mesi e che rischia di diventare un contenitore delle più varie materie sulle quali si intende intervenire forse con troppa fretta e poca precisione. E' il caso dello stop che il M5s vorrebbe dare - sempre tramite Milleproroghe - alla riforma sulle banche varata dal governo Renzi, per escludere quelle di credito cooperativo.
IL FRONTALE Governare con toni da campagna elettorale e in un clima da rissa permanente non aiuta e non è nelle corde del presidente Mattarella come del premier Conte che sembra più di tutti subire il conflitto interno all'esecutivo e un ripetuto atteggiamento di sfida, ora con alcune istituzioni, ora con l'Europa, ora con singoli rappresentanti dell'amministrazione pubblica. Lo stesso spoil system, che grillini e leghisti intendono attuare sino all'ultima poltroncina, non necessità di ripetuti attacchi frontale giallo-verdi. La continua polemica con il presunto establishment che bloccherebbe la politica economica del governo, rischia infatti di produrre più danni che benefici e di disorientare cittadini e risparmiatori.
D'altra parte è vero che le nomine in Cdp hanno un particolare peso e importanza per l'azione del governo, ma non la Cassa non è un bancomat dal quale attingere per riportare Alitalia in mano pubblica, avviare investimenti pubblici o comprare l'Ilva. Soprattutto ieri si è chiusa solo la prima puntata di un lungo iter di nomine pubbliche che presto investirà altri delicati settori dell'amministrazione pubblica. A cominciare dalla Rai, i cui vertici dovrebbero essere nominati nel consiglio dei ministri di martedì prossimo, e sui quali si attendono nuovi scontri e contrapposizioni che Conte, come Mattarella, sperano vengano evitati o quanto meno contenuti.
Il grand commis cresciuto al ministero e specializzato nei dossier caldi delle banche
Negli ultimi anni sulla sua scrivania sono passati tutti i dossier bancari. Dal salvataggio del Monte dei Paschi a quello delle banche Venete. È l'uomo che, con Pier Carlo Padoan, ha gestito i dossier più delicati per il sistema del credito, a partire dalle trattative in sede Ecofin sull'Unione bancaria. Alessandro Rivera, 47 anni, l'uomo che il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ha designato quale successore di Vincenzo La Via nel delicatissimo ruolo di direttore del Tesoro, è l'emblema del grand commis di Stato. A Via XX Settembre ha costruito tutta la sua carriera. Laureato alla Luiss, Rivera è diventato dirigente pubblico passando per la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Ha lavorato, ed è stato apprezzato, da tutti i ministri che si sono succeduti a via XX Settembre: da Giulio Tremonti, a Domenico Siniscalco, da Vincenzo Visco fino a Mario Monti, da Vittorio Grilli a Fabrizio Saccomanni. Qualche anno fa, il Financial Times, la bibbia dei mercati, lo definì uno dei «superman del Tesoro». L'occasione fu la creazione dei Tremonti-bond, le obbligazioni nate per salvare le banche dalla prima crisi. Da tempo è a capo della Quarta direzione del Tesoro, quella che si occupa di servizi e politiche finanziarie. Uno dei suoi primi impegni è stato sui bilanci delle fondazioni bancarie, gli enti che partecipano al capitale dei più grandi istituti creditizi del Paese e che sono vigilate dal ministero dell'Economia. Un compito che gli ha attirato la stima e le simpatie del presidente dell'Acri, l'associazione delle Casse di risparmio italiane, Giuseppe Guzzetti.
LE CONNESSIONI Un link molto forte Rivera lo ha anche con la Banca d'Italia, nel cui Consiglio superiore è stato in rappresentanza del governo. Ha rappresentato l'azionista Tesoro anche nel consiglio di amministrazione della Cassa dpositi e prestiti e in quello delle Poste. E un anno fa è stato scelto come presidente di Sga, la società pubblica che si occupa della gestione dei crediti deteriorati delle banche venete. Proprio l'aver gestito tutte le recenti crisi bancarie italiane, ha fatto sì che Rivera finisse nel mirino di una parte del Movimento Cinque Stelle. Ieri il senatore M5S, Elio Lannutti, riferendosi alla sua nomina, l'ha definita «non una buona notizia». Nei giorni scorsi, Giuseppe Bivona, investitore di Bluebell Partners Ltd, considerato vicino alle posizioni del Movimento Cinque Stelle, pur definendo Rivera una persona «competente», ha inviato una lettera a Tria sconsigliandone la nomina per la sua vicinanza alle precedenti gestioni. Per Tria, invece, la scelta di Rivera garantisce un solido controllo sulla macchina del ministero, che il nuovo direttore generale in pectore, appassionato di atletica e della maratona, conosce a menadito. Un'ulteriore blindatura del fortino di Via XX Settembre.