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Pescara, 24/07/2024
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Data: 23/07/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Di Maio e la lotta di classe «Il Pd sta con i padroni». Il leader del M5s accusa i Dem di voler tagliare le indennità per i licenziati. Critiche anche dalla minoranza. Spunta un emendamento salva-portaborse

ROMA Chi sta dalla parte dei lavoratori, chi dalla parte dei «padroni». Diatriba dal sapore antico che oggi è però il cuore del nuovo scontro che si è acceso sul decreto dignità, questa volta tra Movimento 5 Stelle e Pd. Oggetto del contendere alcuni emendamenti Dem, presi di mira anche dalla minoranza interna, che chiedono di cancellare il raddoppio delle indennità in caso di licenziamento illegittimo. «Incomprensibile» per il vicepremier e titolare del provvedimento, Luigi Di Maio, che «un partito di sinistra si schieri contro il riconoscimento di maggiori diritti a chi lavora». Se questo accade, va giù duro il leader dei 5 Stelle, è perché il Pd ormai sta «dalla parte dei padroni». Mentre il Movimento sarà «sempre dalla parte dei lavoratori».« Con «Renzi o senza Renzi - aggiunge uno dei relatori al provvedimento, Davide Tripiedi - ormai è il partito della demolizione dei diritti dei lavoratori».Ma il Pd reagisce a stretto giro. Sono i 5 Stelle a «prendere in giro i lavoratori» , sostiene Debora Serracchiani , perché «promettono un aumento dell'indennità di licenziamento ma lasciano aperta una via di fuga per il datore che con le loro norme pagherà molto di meno conciliando, prima che il giudice condanni. Questo è un gioco delle tre carte che il Pd intende far saltare chiedendo l'aumento dell'indennità di conciliazione». Il testo del decreto porta, in caso di licenziamento illegittimo, le mensilità minime di risarcimento da 4 a 6 e quelle massime da 24 a 36. Con la conciliazione il minimo è 2 e il massimo è 18 mensilità, e i Dem su questo punto chiedono invece di passare a 3 e 27. Ma, e sono gli emendamenti incriminati, ci sono anche proposte per sopprimere tout court il tema degli indennizzi o comunque per ritoccare solo il tetto massimo che l'ex ministro Dem Cesare Damiano chiede al suo partito di ritirare perché, appunto, così «diamo l'immagine di un partito attento solo ai problemi delle imprese». L'esito di questo scontro si vedrà nei prossimi giorni, quando entreranno nel vivo i lavori delle commissioni Finanze e Lavoro della Camera. Oggi il primo vaglio dell'ammissibilità, poi da martedì andranno al voto quasi 900 emendamenti. Una valanga di richieste di modifica, quasi tutte avanzate dalle opposizioni, con scarse chance però di essere approvate. Il Pd sul fronte dei precari punta anche all'introduzione di una «buonauscita compensatoria», oltre a chiedere salario minimo e sgravi per le assunzioni stabili. Mentre LeU si spinge a chiedere di ripristinare l'articolo 18. E tra le richieste di esentare le categorie più varie dalla stretta sui contratti a termine - dalle start up alle colf, questa ultima con buone probabilità di passare - spunta anche quella, dei Dem e del gruppo misto, di salvare i portaborse e i dipendenti dei gruppi parlamentari e dei consigli Regionali legando i loro contratti alla durata delle legislature.

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