ROMA La Lega punta i piedi. Matteo Salvini annuncia di voler esaminare ad uno ad uno i papabili per il ruolo di amministratore delegato della Rai. La politica è nuovamente entrata dalle porte e dalle finestre nei palazzi di Saxa Rubra, anche se il governo del cambiamento aveva giurato che sarebbe rimasta fuori. Ed invece il leader della Lega, intervistato ieri dal Corriere, non ci va leggero: «Ci sono alcuni curriculum, ma voglio incontrare le persone. Voglio parlare di governance con chi dovrà attuarla». Di Maio, dal canto suo, sfuma un po' quando ammette di «essere a buon punto» nella scelta di «personalità slegate dalla politica che siano le migliori».
IL TETTO
E pensare che i due nomi che mancano per completare il cda della Rai dovrebbero essere indicati non dai vicepremier ma dal ministro dell'Economia Giovanni Tria, dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e licenziati dal consiglio dei ministri. Il primo, però, sembra aver ben altro a cui pensare, mentre Conte - ieri in Puglia per il compleanno del padre - si è ritagliato un ruolo da arbitro pronto ad intervenire solo in caso di rissa. Il problema per il premier è che non si è molto lontano dal ripetere il film già sperimentato al momento della scelta dei vertici di Cdp e che quindi - se non andranno a buon fine le riunioni notturne - servirà ancora il suo apporto da arbitro con tanto di var istituzionale collocata sul Colle più alto. Le modalità di azione dei due vicepremier rendono complicato realizzare quanto auspicato dal presidente della Camera Roberto Fico quando chiede al nuovo cda di essere indipendente dai partiti. Il problema sta nelle scelte che dovrà fare l'amministratore delegato dopo essersi insediato e dopo aver firmato un contratto sotto il tetto dei 240 mila euro. In base al Cencelli giallo-verde tocca al M5S fare il nome dell'ad. In pole position resta Fabrizio Salini - nome che piace molto a Casaleggio e Di Maio - già La7 e Fox e ora nella società di produzione di Simonetta Ercolani. Pesa però l'accusa di renzismo nei confronti di Salini e ciò serve alla Lega per frenare gli entusiasmi grillini su un accordo che - a giudizio di Salvini - ha ancora molti punti da approfondire. In caduta libera i candidati interni mentre l'unico che resiste, dopo alcuni no grazie, è quello di Andrea Castellari (Viacom).
Resta il fatto che parlare con il potenziale amministratore delegato Rai di «governance» significa voler definire, prima di cominciare, gli assetti interni. Ovvero direttore di reti e testate nonché i responsabili delle direzioni interne. Difficile, quindi, che la Lega si accontenti del ruolo di presidente, più onorario e di garanzia che operativo. Per questo sembra reggere il nome di Giovanna Bianchi Clerici, leghista ma con una lunga esperienza difficile da reperire tra i curriculum giallo-verdi.
IL FERRO
Poichè la legge assegna all'ad pieni poteri, Di Maio e Salvini vogliono vederci chiaro stabilendo sin da subito anche il più piccolo dettaglio. E così la Lega punta i piedi. Lascia che sia il M5S ad indicare l'ad ma poi vuole parlarci per spiegargli che il Carroccio vuol dire la sua sulla direzione del Tg1 e non solo sul Tg2, mentre al M5S andrebbe il Tg3. D'altra parte se Di Maio si presenta alla trattativa con il 32% ottenuto il 4 marzo, Salvini non è da meno e sfodera i sondaggi che danno la Lega alla stessa quota dei grillini.
Un braccio di ferro non ancora risolto anche se venerdì è fissata la nuova riunione del cda Rai e se Di Maio, nel tentativo di placare l'alleato, ha anche detto sì al blocco della fusione tra Ferrovie ed Anas da tempo perorata dalla Lega. Posto che le Fs sono in quota Lega, il braccio di ferro è tutto interno al Carroccio con il governatore della Lombardia Attilio Fontana che spinge per Giuseppe Bonomi (ex Sea) e il sottosegretario Giancarlo Giorgetti per Massimo Sarmi (ex Poste).
Sembra invece fatta al Gse con un nome in quota grillina. Luca Dal Fabbro sarà il prossimo presidente e amministratore delegato del Gestore dei Servizi energetici, società interamente controllata dal Ministero dell'Economia.