L'AQUILA La classe dirigente e gli intellettuali della città si interrogano da anni sul ruolo guida dell'Aquila, in ambito regionale. Capitale della cultura e dell'innovazione, centro di ricerca e scienza. Solo sulla carta o nella realtà? Sta di fatto che è servita una seconda legge a suffragare il vecchio statuto che attribuiva all'Aquila lo status di città capoluogo. Ma ce n'era davvero bisogno? E cosa cambierà d'ora in avanti, anche in virtù dei 900mila euro messi a disposizione annualmente? I pareri sulla questione sono discordanti.
PROBLEMA POLITICO. «A parte la cifra, che mi sembra piuttosto modesta, ciò che conta è che l'Abruzzo e la Regione rendano possibile l'esercizio della funzione di capoluogo, che dev'essere operativa ed effettiva», è il commento dello storico Raffaele Colapietra. «Il dilemma non è culturale, ma squisitamente politico. Il ruolo di capoluogo dev'essere vissuto dai governanti come tale. Mi spiego meglio: non si può disconoscere in alcun modo la valenza culturale e artistica dell'Aquila, in quanto oggettiva. Ma il fatto di esercitare la funzione di leadership in Abruzzo dipende dalla giunta regionale, che è sempre stata molto estranea all'Aquila. Il capoluogo di regione non ha avuto un'adeguata rappresentanza, pur meritando dal punto di vista culturale e artistico. L'interrogativo è: quanto conta oggi L'Aquila?».
SEGNALE POSITIVO. «Una legge per L'Aquila capoluogo è un segno positivo», il punto di vista di Walter Capezzali, ex direttore della biblioteca provinciale, «perché finora si è vissuto soltanto di campanilismi. Il ruolo di capoluogo è stato attribuito all'Aquila dallo Statuto, anche se è stato frutto di una spartizione. L'Aquila è un capoluogo dimezzato sotto il profilo dell'attribuzione delle deleghe e dei ruoli». «Non sono in grado», prosegue Capezzali, «di misurare se 900mila euro l'anno siano un premio extra oppure derivante dalla funzione che la città svolge, per la quale finora non ha ricevuto nulla. Se L'Aquila capitale equivale a Roma capitale, allora novecentomila euro non sono, poi, tanti. Può essere un segnale positivo», conclude Capezzali, «ma non vedo cosa potrà modificare concretamente rispetto al suo ruolo».
LEGGE NON NECESSARIA. Per Roberto Marotta, ex presidente della Fondazione Carispaq, «non vi era la necessità di un'ulteriore legge, essendo in vigore uno Statuto approvato anni fa, seppure in maniera improvvida, che è servito a tacitare le coscienze di chi doveva decidere. L'Aquila doveva essere appieno città capoluogo, non dimezzata nelle due funzioni, con un dispendio economico e di energie. Nel tempo, la città non è riuscita a esprimere una posizione predominante, anche per la carenza di una rappresentanza politica tale da mantenere la leadership». «Le zone interne», aggiunge l'ex presidente della Fondazione Carispaq, «sono penalizzate rispetto alla costa, è un dato oggettivo. L'Aquila potrebbe essere un centro amministrativo e scientifico: il vero tracollo lo ha subìto con la chiusura dell'Italtel quando la città ha perso 10 miliardi di vecchie lire di stipendi».
RISANARE LA FERITA. «Si è avviata la fase di risanamento di una ferita aperta nel 1971», sottolinea Antonio Centi, ex sindaco della città e presidente dell'Istituzione sinfonica abruzzese, «una legge importante, ma non decisiva se non seguita da scelte perché L'Aquila sia città della scienza, dei beni e delle produzioni culturali, dell'industria farmaceutica. L'auspicio è che, con questa legge, termini lo stillicidio di notizie di trasferimenti di uffici dall'Aquila in altre realtà della regione».