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Data: 08/08/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Troppi Tir, poche merci su treno Italia fanalino di coda in Europa (l'articolo in pdf con le tabelle)

ROMA Dipendenza dalla gomma. Vuoi per motivi geografici, vuoi per il tipo di scelte industriali intraprese nel Dopoguerra, oggi l'Italia trasporta l'80,1 per cento delle proprie merci su terra, in netta controtendenza rispetto all'Europa, dove la quota parte di beni trasportati su reti stradali (fonte Eurostat) è mediamente inferiore di oltre sette punti: il 72,8 per cento. Se l'Italia è una delle capofila europee del trasporto su gomma, battuta dalla Spagna (90,1%), dalla Francia (83,2%)e dall'Irlanda (99,1), per riflesso il nostro Paese è uno dei fanalini di coda del Vecchio continente per quanto riguarda il trasporto su ferro. Che pure consentirebbe sostanziosi risparmi in termini di sostenibilità ambientale. A fronte di emissioni di anidride carbonica che su strada sono triplicate rispetto alla rotaia, l'Italia trasporta su binari solo il 13,8% dei suoi prodotti. Sormontata in questa speciale classifica di Eurostat anche da Paesi come la Lituania e l'Austria dove rispettivamente viaggiano in treno il 63,8% e il 28,4% delle merci. Detto che il gap con la Germania - dove viaggia in treno il 18,2% dei prodotti - non è incolmabile, e che il paragone con la Francia ci vede invece uscire vincitori (Oltralpe viaggia in treno solo il 10,5% dei beni), il Belpaese ne esce con le ossa rotte se comparato a Paesi dell'Est come la Lettonia e la Lituania, che hanno fatto delle infrastrutture ferroviarie il loro atout strategico per inseguire la globalizzazione, con una percentuale di merci che viaggia su ferro superiore al 60 per cento.
LE DIFFERENZE
Non si tratta di differenze da poco, ma di scelte strategiche su cui il Paese deve riflettere. Gli oltre quattro milioni di Tir e camion che viaggiano sulle nostre strade sono in buona sostanza la cinghia di trasmissione della nostra economia: se si spezza, come accaduto a Bologna, il blackout è dietro l'angolo. Ciononostante, il sistema logistico che caratterizza i nostri autotrasporti, non sembra più essere all'altezza del delicato compito al quale è chiamato. Ancora boccheggiante dopo gli anni della crisi, il settore ha mostrato solo di recente timidi segnali di ripresa. Ma tra il 2008 e il 2014 ha visto crollare gli utili da 49 miliardi a 21. Più della metà. Un tonfo verticale che si è tradotto in una perdita occupazionale secca di 150 mila autisti. Meno ricavi uguale tagli. E meno investimenti. Basti pensare che sono 1,7 miliardi di euro all'anno, segnala il rapporto Gipa elaborato per Unrae (l'Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), i denari perduti per il calo delle immatricolazioni dei veicoli industriali negli ultimi sette anni. Il risultato? Facilmente prevedibile, purtroppo. «Oggi annota il presidente di Unrae, Franco Fenoglio - il parco circolante italiano è tra i più obsoleti d'Europa. I veicoli di portata maggiore o uguale alle 16 tonnellate hanno infatti un'età media di 11,3 anni». Così che per sostituirli tutti, stima Unrae, saranno necessari 11 anni. «Tenere in campo mezzi vecchi annota ancora Fenoglio vuol dire maggiori rischi di incidenti, e in generale minore sicurezza. Ecco perché le parole del ministro Toninelli, che ha parlato di mezzi più tecnologici non possono che riscuotere il nostro plauso». Il disastro di Bologna ha gettato luce sull'enorme numero di mezzi pesanti che solcano le nostre strade. Ma anche sulle garanzie che mezzi tecnologicamente arretrati possono fornire a bordo.
IL RAPPORTO
Come dimostra lo studio di Unrae, i mezzi che hanno tre anni d'età sono soggetti a un tasso di incidentalità del 6%. Che schizza al 17, tre volte tanto, per i camion che hanno più di undici anni di vita. In questo senso, i dati forniti da Unrae sono assai preoccupanti: oggi solo il 4% del parco circolante è dotato dei più avanzati sistemi di sicurezza obbligatori da novembre 2015. Il riferimento è a quelle tecnologie che riducono al minimo la possibilità di errore umano: dispositivi anticollisione, guida automatica, strumenti di frenata automatica, controllo predittivo della velocità. Il problema è che l'impiego di strumenti così giovani, imporrebbe un netto cambio di passo anche sul piano della formazione del personale. Gli autotrasportatori italiani, sono infatti tra i più anziani d'Europa: hanno in media 48 anni a testa. Ed è molto difficile, chiarisce l'Unrae, professionalizzare figure così legate a schemi di guida ormai sorpassati. Eccolo qui, dunque, il paradosso Italia. Un Paese che dipende quasi per intero dalla gomma, ma rischia di fermarsi di colpo di fronte a un incidente o a una bretella intasata per il rientro dalle vacanze. E se fosse ancora una volta la cura del ferro, la soluzione? «Innanzitutto osserva Guido Gentile, docente di Ingegneria dei Trasporti alla Sapienza di Roma - occorrerebbe migliorare l'esistente. Ossia garantire per legge che sulle nostre strade possano circolare solo gli automezzi in possesso di requisiti ad alto coefficiente di sicurezza. Gli investimenti sarebbero modesti, e il ritorno piuttosto consistente». Viceversa, annota il professore, «scelte politiche potrebbero anche suggerire di investire sull'alta capacità. Ma va chiarito che in questo caso i risultati sarebbero tangibili solo in una prospettiva a lungo termine». Restano intanto in bilico gli investimenti decisi dal ministro Delrio, finalizzati allo sviluppo dei corridoi ferroviari europei del Ten-T: Scandinavo-Mediterraneo, Baltico-Adriatico, Reno-Alpi e Mediterraneo. Dopotutto una buona idea, se davvero si volesse deflazionare il Paese dall'invasione dei Tir.

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