L'AQUILA «Il dado è tratto». Lo ha detto ieri il governatore Luciano D'Alfonso, facendo intendere la volontà di dimettersi oggi, o al massimo domani. Se ne saprà di più stamattina, alla luce del bilancio dei suoi 50 mesi alla guida dell'Abruzzo, appuntamento a cui farà da contraltare un'iniziativa di Forza Italia. Insomma, stavolta siamo davvero agli sgoccioli. Anche ieri D'Alfonso non ha voluto sciogliere il nodo. Eppure sembrava tutto apparecchiato per una spettacolare uscita di scena, al termine di un Consiglio fiume, della battaglia sulla legge elettorale, ma soprattutto dopo l'approvazione della legge sulla Nuova Pescara.
FINE DELLA SEDUTA
Probabilmente D'Alfonso ci ha anche pensato, se è vero che qualcuno aveva annunciato un suo discorso, singolarmente dattiloscritto per lui che è abilissimo nell'oratoria a braccio, per la fine della seduta. E invece niente, il governatore-senatore si è limitato a un passaggio rapidissimo, annunciando per oggi «l'avvio della clessidra» delle dimissioni. Anche i suoi più stretti collaboratori sono convinti che ormai ci siamo, ma il presidente finora è riuscito a eludere ogni previsione. Insomma, al di là delle liturgie e dei dribbling, l'era D'Alfonso è finita e lo si è toccato con mano anche in Consiglio, in un clima da ultimo giorno di scuola, e non certo solo per le imminenti ferie. Da oggi Giovanni Lolli sarà il presidente facente funzioni, tanto da aver già pianificato una visita istituzionale a Campotosto, «nel luogo oggi più in difficoltà della Regione». Nell'arco di qualche giorno arriverà il decreto di scioglimento dell'assise, con conseguente prospettiva elettorale. Quando? Correndo ce se la potrebbe fare per l'autunno, ma ciò creerebbe non pochi problemi amministrativi, basti pensare per esempio ai bilanci da approvare. Il ritorno alle urne è cosa certa.
VERSO IL VOTO
Ieri il Pd, per bocca di Sandro Mariani e Silvio Paolucci, ha ricostruito le ultime ore di battaglia sulla legge elettorale. Introdotti due novità: l'allungamento da 7 a 60 giorni per le dimissioni di chi volesse candidarsi alla presidenza; la distinzione tra assessore e consigliere, con annessa surroga. Saltata, perché ritirata dal Pd, la possibilità di ripartire i seggi per coalizione e per alzare le soglie di sbarramento al 4 e all'8% (in coalizione e fuori). Mariani ha respinto l'idea dell'insuccesso: «Ho aperto una discussione, ma senza condivisione non era giusto forzare». Paolucci ha rivelato i retroscena. L'inziale asse Pd-FI a cui gli azzurri guardavano per incassare l'aumento delle soglie (importante contro le civiche in corso di formazione) e la ripartizione per coalizioni (per evitare di avere gli stessi seggi dei 5 Stelle ma con 54mila voti in più). Il Pd voleva portare a casa l'estensione temporale per le dimissioni di amministratori e rappresentanti istituzionali. FI è implosa e allora l'asse si è formato con i 5Stelle, che al contrario non volevano la ripartizione dei seggi per coalizione. A quel punto il Pd ha offerto il ritiro in cambio dell'ok all'estensione dei diritti per l'elettorato passivo. Et voilà.