ROMA Riformare la legge Fornero, certo. Ma con giudizio. Introdurre l'ormai celebre quota 100 (pari alla somma tra i contributi versati e l'età anagrafica) per consentire a tutti di scivolare in anticipo verso la pensione avrebbe un costo minimo di 4 miliardi di euro: una somma impegnativa che sta facendo riflettere a fondo il governo, alle prese con la difficile composizione della legge di Bilancio.
LE IPOTESI
Così in queste ore spunta l'ipotesi di virare verso quota 42. Verrebbe garantita la possibilità di accedere alla pensione di anzianità attraverso il versamento, appunto, di 42 anni di contributi, indipendentemente dall'età anagrafica raggiunta. In questo modo ci sarebbe una riduzione rispetto agli attuali 42 anni e 10 mesi richiesti per gli uomini (mentre per le donne occorre raggiungere la quota dei 41 anni e 10 mesi), ancora più evidente se si considera che dal primo gennaio del 2019 il requisito richiesto si alzerà a 43 anni e 3 mesi (42 anni e 3 mesi per le donne).
I DETTAGLI
Occorre ricordare che la proposta governativa originaria prevede, oltre a quota 100, anche il pensionamento con il solo requisito contributivo (quindi indipendentemente dall'età) per il quale sono richiesti 41 anni e mezzo di versamenti. Si tratta di vincoli che puntano a ridurre l'impatto finanziario del nuovo assetto: ricalcolo contributivo del trattamento previdenziale, limitatamente agli anni che vanno dal 1996 al 2011, per coloro che scelgono la nuova uscita anticipata e possibilità di utilizzare solo due anni di contributi figurativi (salvo quelli previsti per maternità e servizio militare). Inoltre si presuppone che non venga rinnovata l'opzione dell'Ape sociale, voluta dal precedente governo, che permette solo fino a quest'anno l'uscita dal lavoro a 63 anni, ma solo per particolari categorie. Con l'applicazione di quota 42 si potrebbe lasciare il lavoro anche a 59 anni, anche se con il ricalcolo contributivo ci sarebbe un robusto taglio dell'assegno pensionistico.
LA CAUTELA
La prudenza del governo appare inevitabile in tema previdenziale. Occorre infatti ricordare che uno scenario con quota 100 senza vincoli di età (l'ipotesi più hard formulata dall'Inps), con in più la pensione di anzianità, comporterebbe un esborso di quasi 14,4 miliardi già in partenza, per sfiorare i 21 miliardi annui di euro nel 2028. Gli assegni in più sarebbero 751 mila nel 2019 (oltre un milione nel 2028). Nei dieci anni considerati si spenderebbero così oltre 190 miliardi. Dopo di che a partire dal 2030 gli oneri si riducono, trasformandosi in risparmi intorno all'anno 2040.
Ancora l'Inps ha recentemente calcolato che la scelta meno gravosa, per le casse dello Stato, sarebbe raggiungere quota 100 attraverso una combinazione di 64 anni minimi di età e il mantenimento della legislazione attuale per quanto riguarda l'anzianità (quindi niente 41 anni). In questo modo, il primo anno si spenderebbero 4,6 miliardi di euro in più fino ad arrivare a 8 nel 2028. Nell'arco dei dieci anni il maggior numero di pensioni salirebbe dal numero di 258 mila a quota 450 mila l'anno.
I numeri salgono nel caso di ripristino della pensione di anzianità con 41 anni di contribuzione e quota 100 con 64 anni di età minima. Nel 2019 l'onere sarebbe di 11,6 miliardi di euro per un totale di 596 mila pensioni in più a fine anno. Tra dieci anni, nel 2028 i costi salirebbero a 18,3 miliardi di euro e gli assegni a 1 milione. Se lo sbarramento fosse a quota 65 si risparmierebbe qualcosa, ma non più di due miliardi l'anno.