GENOVA Le campane suonano a lutto in città, nello specchio di mare davanti alle bare allineate scivola un rimorchiatore con la bandiera di Genova a mezz'asta. Una chiesa non è sufficiente per contenere tutto il dolore per i morti travolti dal ponte Morandi e i diciannove feretri coperti di rose bianche. Dopo la strage del viadotto, alcuni parenti hanno riportato i loro cari a casa, chi è qui nel grande capannone vuole un funerale di Stato: riconosce il valore dei vigili del fuoco che hanno estratto i corpi dalle macerie, stringe le mani ai politici e chiede giustizia. «È una tragedia che ha coinvolto tanti, l'intero Paese. È una tragedia inaccettabile. Bisogna accertare la verità e garantire la sicurezza», afferma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
CLIMA CALDO
Questa è una cerimonia speciale, non solo per il numero di vittime, ma anche per il carico emotivo di chi partecipa. Famiglie distrutte, amori spezzati. Chi è vivo ma su quel ponte passava tutti i giorni, ora si sente un miracolato. Cinquemila persone affollano il palazzetto e i primi a prendere posto, in una sorta di doloroso memento, sono i familiari delle vittime della strage di Viareggio con il loro striscione. Il clima si surriscalda, il corridoio riservato alle autorità pare l'ingresso nell'arena: applausi a Mattarella, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al presidente della Camera Roberto Fico. Che china il capo: «Chiedo scusa, anche se non è mia colpa oggi, a nome dello Stato, per quello che può non aver fatto negli ultimi anni». Defilati i vertici di Autostrade, battimani per i ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio, fischi e cori - «Vergogna» - per il segretario del Pd, Maurizio Martina, e l'ex ministro della Difesa Roberta Pinotti (genovese). Sergio Cofferati, l'ex leader della Cgil che in città ha corso per le primarie dem, non viene nemmeno riconosciuto, segno di una città rossa che ha voltato le spalle a cinquant'anni di governo della sinistra. «Fagli il mazzo», è la richiesta esplicita a Di Maio del parente di una vittima. E il ministro non si tira indietro: «Tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non le gestiranno mai più». Anche Salvini stringe mani, ascolta e rassicura. Si avvicina alla bara di Luigi Matti Altadonna, 35 anni e quattro figli, il più piccolo ha 15 anni e per l'occasione indossa un completo grigio da uomo che lo fa sembrare ancora più ragazzino. «Vogliamo giustizia - dice Giuseppe, padre della vittima - pretendiamo risposte». Salvini promette: «Uniti nel dolore e nella richiesta di verità e giustizia, determinati a non mollare»
LE SIRENE DEL PORTO
Italiani accanto a francesi, cileni, albanesi. Il viadotto crollato è il simbolo di un ponte tra i popoli che va ricostruito, «ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova, una ferita profonda che nessuna doverosa giustizia può cancellare», dice nell'omelia il cardinale Angelo Bagnasco. Ci sono i camalli del porto che si stringono attorno alla bara del loro compagno Andrea Cerulli, le famiglie degli operai che andavano a lavorare. Arriva una squadra dei vigili del fuoco per dare l'ultimo saluto ai morti. Accarezzano i feretri commossi e l'applauso questa volta è lunghissimo: «Se lo meritano soltanto loro», è il sentimento prevalente. Tra le bare disposte a semicerchio, una sporge dalla fila: è quella di Samuele, 8 anni, il più piccolo rimasto sotto le macerie. È bianca, con un cuscino di fiori gialli e due peluche. La mamma di Ersilia, nonna del bimbo, non si dà pace: «È inaccettabile morire così. Mi hanno cancellato la famiglia. Mia figlia, mio genero e il nipotino che era la luce dei miei occhi. E tutto per che cosa? Per l'incuria. Posso capire un incidente, una fatalità, ma l'incuria non l'accetto. Fate qualcosa, dovete farlo». L'impotenza per ciò che è successo si accompagna alla determinazione che non si ripeta più. La lettura dei nomi delle vittime dura un minuto, sembra non finire più, e precede un altro simbolo di questa giornata: l'«Allah Akbar» scandito cinque volte dall'imam di Genova per salutare i fedeli musulmani morti sul viadotto. La cerimonia si chiude, ma i familiari non si staccano dalle bare. Sono tanti gli amici da abbracciare, i parenti arrivati da lontano. E prima che tutto finisca, dal porto arriva il suono delle sirene. Forte, prolungato, che è insieme un addio ma anche un benvenuto per i naviganti che attraccano al molo.
ROMA Quello calcistico era stato sospeso, almeno per Genova, ma nel padiglione blu della Fiera un campionato alla fine si è disputato comunque. Ieri ai funerali di stato si intravedevano le curve, il pubblico, gli striscioni (quello della strage di Viareggio del 2009) e gli applausi scroscianti e commossi ai vigili del fuoco, al presidente Sergio Mattarella, a Luigi Di Maio e Matteo Salvini, al ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Per quelle famiglie che hanno accettato i funerali solenni, loro sono lo Stato a cui battere le mani. Tutt'altra accoglienza è stata riservata a chi governava prima. Silenzio glaciale, rumori ostili, intervallati solo da fischi, si sono levati quando sono entrati il segretario del Pd Maurizio Martina e altri ex ministri dem come la genovese Roberta Pinotti. Chi applaudiva prima si è fermato dopo con in testa le parole di fuoco di questi giorni pronunciate da Luigi Di Maio sulla leggina fatta apposta dal Pd per i concessionari autostradali e sull'inutilità dei codicilli. Ecco perché quella schiera di braccia conserte al passaggio dei dem che non potevano sprigionare la stessa empatia commossa. «La fiducia che oggi ci ha dimostrato Genova dovremo ricambiarla con fatti concreti», dice il sottosegretario ligure M5S Simone Valente, accolto dagli applausi ma anche dalle richieste, alcune in lacrime, dei parenti delle vittime di non essere lasciati soli o, forse peggio, delusi.
Mentre ieri c'era un Martina molto disorientato e imbarazzato. La sua era una mission impossible: reggere l'urto di una piccola folla che non lo ha riconosciuto, salutato, fermato. Qualcuno lo ha chiamato solo per farlo voltare e fischiarlo. Grande cautela nelle chat renziane dove fin da subito qualsiasi polemica è stata sterilizzata perché «è un giorno di dolore». «Teniamola bassa», questo il mood. Anche se nelle cerchie più ristrette non sfugge il risultato disastroso dell'applausometro: «Abbiamo un problema con la pancia del paese». Il presidente del Pd Matteo Orfini non era a Genova. «Mi ha colpito molto di più il rifiuto dei funerali di Stato», dice. Le esequie private, quelle sì, che sono un fischio sonoro, lontano dal clamore moltiplicatore dei social. «Quando si prendono i fischi in democrazia si ascolta e si riflette», dice poi però Orfini. Ragionamento che non è esente dai dubbi: «I fischi? Erano pilotati!», giura qualcuno.
LA CHAT
E infatti un altro renziano di ferro come Michele Anzaldi collega gli applausi ai whatsapp dell'ufficio comunicazione di Chigi. Nel mirino finisce lo stratega del M5S Rocco Casalino che appena uditi e visti i fischi lo ha fatto notare via chat con una battuta divertita: «Sono curioso di leggere domani i giornali». Anzaldi attacca feroce: «Presenterò un esposto alla Corte dei Conti e all'Agcom per sapere se è lecito che il portavoce di Palazzo Chigi, pagato con i soldi degli italiani per curare la comunicazione istituzionale del Governo, inondi la stampa di sms per fare falsa propaganda contro un partito di opposizione».