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Data: 21/08/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Autostrade di Stato» Siluri di Lega e M5S all'idea di Toninelli. A rischio 50 mila risparmiatori con l'ipotesi nazionalizzazione

ROMA L'impeto della nazionalizzazione delle autostrade italiane è durato poco più di mezza giornata. Fino alle sei di sera quando Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali e mente economica dei 5stelle, ha sommato il suo no a quello scandito al Meeting di Rimini all'ora di pranzo da Giancarlo Giorgetti, il bocconiano che incarna l'anima liberista e filo imprenditoriale della Lega. Da vedere, visto che tra i giallo-verdi le tentazioni stataliste sono forti, se il tema riemergerà nei prossimi giorni. Le sorprese non sono escluse.
Tutto comincia di buon mattino con la lettura di un'intervista del ministro delle Infrastrutture al Corsera. Danilo Toninelli mette a verbale: «La nazionalizzazione sarebbe conveniente, pensi quanti ricavi e margini tornerebbero in capo allo Stato attraverso i pedaggi, da utilizzare non per elargire dividendi agli azionisti, ma per rafforzare qualità dei servizi e sicurezza delle strade. Autostrade ha accumulato 15 miliardi in 10 anni».
In ambienti 5stelle sorridono. Si racconta che l'apertura di Toninelli alla nazionalizzazione è «un omaggio al padre fondatore». Traduzione: il ministro nel week-end è andato a trovare a casa Beppe Grillo (sul suo profilo Instagram ha postato una foto che lo ritrae insieme al comico) che aveva appena scritto un lungo post contro i signori delle autostrade in cui di fatto si invocava la nazionalizzazione. «Ma non ci sono i presupposti, se nazionalizzi non arrivano più fondi privati per le opere pubbliche», si osserva nei piani alti del MoVimento, «semmai la concessione va rivista, limando di molto i margini di guadagno del concessionario e imponendo forti vincoli per garantire la manutenzione e dunque la sicurezza».
LA MEZZA APERTURA
Queste cose Matteo Salvini non le sa. E poco dopo, intervistato da Agorà, il capo della Lega non chiude a Toninelli ma neppure apre: «Se guardo ai bilanci di Autostrade dico di sì. Io però sono a favore della compresenza pubblico-privato e non ho abbastanza elementi per dire cosa faremo». Poi, una volta arrivato a Milano, aggiunge: «Sulla nazionalizzazione stiamo studiando, sicuramente non faremo i regali che qualcuno ha fatto in passato, facendo guadagnare miliardi» ad Autostrade.
Passa un'ora e da Rimini però arriva lo stop inequivocabile di Giorgetti: «Non sono molto persuaso che la gestione dello Stato sia di maggiore efficienza» rispetto ai privati. C'è chi, come il dem Matteo Orfini, ritiene che il sottosegretario parli su precisa indicazione di Salvini «che era stato cauto solo per non urtare i 5Stelle». Chi invece sostiene che la ragione della frenata sia «l'insostenibilità economica dell'operazione di statalizzazione della rete autostradale». E c'è qualcun altro che spiega l'altolà di Giorgetti con la frenata di Buffagni fatta su La7, in cui attacca a muso duro Autostrade («hanno fatto un disastro»), ma aggiunge: «Fare una legge per togliere la concessione sarebbe un suicidio, gli investimenti stranieri in infrastrutture non sarebbero più garantiti». E dunque fuggirebbero.
«TUTTO DA VALUTARE»
A fare un po' di ordine ci pensa il sottosegretario leghista alle infrastrutture, Edoardo Rixi: «Al momento nulla è deciso, dobbiamo valutare. In ogni caso il disastro di Genova ha fatto scuola e le concessioni non potranno più essere come adesso: lo Stato non potrà più essere così debole con il concessionario e dovrà azzerare i rischi per i cittadini imponendo l'obbligo di un imponente piano di manutenzione. Tutto si deciderà dopo aver capito l'evoluzione del contenzioso legale relativo al crollo del ponte Morandi e alle vittime».
Solo il tempo di un altro sussulto statalista da parte del capogruppo 5stelle Francesco D'Uva («la nazionalizzazione ci permetterebbe di ricavare utili da investire in sicurezza») e a chiudere - almeno per ora - la partita ci pensa Buffagni: «Non credo che la nazionalizzazione sia oggi la risposta al problema. Si intervenga piuttosto in tempi brevissimi affinché i soldi destinati ai dividendi vadano alla manutenzione delle infrastrutture. Non si può prendere a gratis la gestione dei beni pubblici ed esporre i cittadini a rischi».

A rischio 50 mila risparmiatori con l'ipotesi nazionalizzazione

ROMA Lo spauracchio della nazionalizzazione incombe su Atlantia, la società della famiglia Benetton che controlla Autostrade per l'Italia. Ma anche sui piccoli investitori che hanno comprato azioni e obbligazioni della società. Il crollo del ponte Morandi a Genova ha spinto il governo ad avviare una procedura formale per revocare la concessione al gruppo e ad evocare anche la nazionalizzazione. Una ipotesi che al solo paventarla ovviamente spaventa gli investitori, grandi e piccoli. Tanto che ieri sui titoli Atlantia, nonostante i già pesanti crolli della scorsa settimana, si è scatenata fin dall'avvio degli scambi una ondata di vendite, frenata poi nel pomeriggio dalle dichiarazioni più prudenti del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, decisamente perplesso dall'ipotesi di riportare in mano allo Stato la gestione delle Autostrade. «Prima di nazionalizzare - ha avvertito infatti Giorgetti - bisogna revocare, se si arriverà alla fine della procedura». Parole che sono sembrate una frenata rispetto a quelle del ministro dell'Interno, Matteo Salvini. «Stiamo studiando e lavorando, sicuramente non faremo i regali fatti in passato, quando qualcuno ha firmato provvedimenti che hanno fatto guadagnare miliardi ai privati e pagare miliardi agli italiani», aveva risposto infatti il vice premier a una domanda sull'ipotesi di nazionalizzare Autostrade ventilata qualche ora prima dal titolare delle Infrastrutture, Danilo Toninelli.
I SEGNALI
Il mercato ha colto subito il cambio di tono del sottosegretario leghista, che rappresenta da sempre l'ala più pragmatica del governo giallo-verde, e Atlantia nell'ultima parte della seduta ha dimezzato le perdite chiudendo con un calo del 4,6% a 18,43 euro. La capitalizzazione della società è comunque scesa di atri 639 milioni a 15,34 miliardi. Lunedì scorso, il giorno prima del crollo del ponte, il titolo aveva chiuso a 24,88 euro e la società valeva 20,5 miliardi.
Sono circa 50 mila i piccoli azionisti della holding cui fa capo Autostrade che in caso di ritorno della gestione allo Stato rischierebbero di trovarsi con un pugno di mosche in mano, secondo le stime della stessa società. Con la conseguente raffica di class action che sicuramente partirebbe. Azioni peraltro già annunciate dagli Stati Uniti dallo studio legale Bronstein, Gewirtz & Grossman, che «sta esaminando potenziali rivendicazioni per conto di acquirenti di Atlantia».
Per avere un termine di paragone del caos che potrebbe crearsi basti dire che i soci minori di Atlantia sono più del triplo dei 15 mila rimborsati dal Fondo di solidarietà per i crac di Banca Etruria, Banca Marche e delle casse di Ferrara e Chieti. Fra l'altro, l'ipotesi di riportare sotto l'ala del governo la rete privatizzata venti anni si fonda su un equivoco, visto che la proprietà è già dello Stato mentre è la gestione che viene data in concessione ed è questa che eventualmente tornerebbe sotto l'ombrello pubblico. Un'ipotesi che, se attuata nelle forme ventilate, potrebbe innescare sui mercati una nuova crisi di sfiducia sull'Italia, allontanando ulteriormente gli investitori stranieri dalla Penisola. Con il rischio che la tempesta sui mercati paventata da Giorgetti possa scatenarsi fin da subito. E tutto questo senza contare i costi, stimati in oltre 15 miliardi, che una revoca delle concessione potrebbe comportare per lo Stato. Va però detto che il ritorno sotto l'egida pubblica della rete autostradale non sarebbe un'eccezione in Europa: la Spagna è il caso più eclatante.
Di sicuro per ora sul mercato prevalgono i timori. La situazione «resta molto confusa», dicevano ieri nelle sale operative. «La revoca sarebbe molto costosa e il know-how di Atlantia è difficile da rimpiazzare, siamo nel caos - affermano gli analisti di Kepler Cheuvreux -. Senza concessione e senza compensazione il valore del titolo finirebbe a zero».

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