L'AQUILA Sarebbe il primo Comune d'Italia ad adottare una decisione del genere, per motivi di sicurezza pubblica, dopo la tragedia di Genova.La palazzina costruita negli anni Trenta, in via Fontesecco, al numero civico 29, sulla quale tra il 1966 e il 1967 hanno edificato il ponte Belvedere (o di via XX Settembre), potrebbe essere abbattuta e alle trenta famiglie che vi abitano, saranno assegnati altri appartamenti.A questa convinzione è arrivato il vice sindaco e assessore alle Opere pubbliche, Guido Quintino Liris, che lunedì 27 agosto, alle 18, incontrerà i proprietari e gli affittuari degli appartamenti della palazzina, che è dell'Ater, per quanto riguarda chi è ini affitto, ai quali verrà prospettata l'idea della demolizione e un ventaglio di scelte, oltre a un incentivo.Si tratterebbe di misure analoghe a quelle assunte per il crollo del ponte Morandi, a Genova.«È ovvio che qui non siamo di fronte a un'emergenza come quella di Genova, ma si tratterebbe di una misura preventiva, precauzionale» afferma l'assessore Liris. «Soprattutto perché, proprio sulla scia delle recenti tragedie, di Bologna e Genova, siamo arrivati, in breve tempo, a maturare una determinazione: le case, o qualsiasi edificio abitativo, anche commerciale, sotto ai ponti non possono stare. Né tanto meno il palazzo che sorge sotto al ponte Belvedere».«Il ponte, ci hanno assicurato i tecnici, non costituisce di per sé un pericolo per un eventuale crollo», spiega il vice sindaco, «ma ho maturato la convinzione di abbattare l'edificio per una questione di sicurezza. Il ponte, come ho già detto (e come riportato dal Centro lo scorso 28 luglio), sarà in parte demolito e la campata verrà ricostruita totalmente in acciaio».Il problema vero, però, per la sicurezza pubblica, non è il possibile crollo, ma cosa passa sul ponte.«Infatti, con la demolizione della palazzina, vogliamo mettere in sicurezza l'intera zona», sottolinea Liris, «perché vogliamo evitare che qualsiasi cosa dovesse cadere dal ponte, possa danneggiare chi ci vive sotto. E poi, non dimentichiamolo, siamo sempre in un'area ad altissimo rischio sismico».Abbattendo l'edificio, però, si presenterebbe il problema della ricollocazione delle trenta famiglie che abitano al civico 29. Il quale non ha subìto alcun danno dal terremoto del 6 aprile 2009 e la palazzina è stata forse la prima a essere riabitata subito dopo il sisma.«Nei giorni scorsi mi sono incontrato con i tecnici comunali e anche con l'amministratore dell'Ater, Gianvito Pappalepore e ho fatto presente che alcuni residenti di quella palazzina non riescono più a dormire dopo la tragedia di Genova», sostiene Liris. «Per gli affittuari bosignerà prendere accordi con l'Ater, mentre per i proprietari abbiamo a disposizione gli appartamenti delle abitazioni equivalenti, oltre a Progetto Case e Map».Quindi ai residenti del civico 29 verrà offerto un ventagli di proposte e loro potranno scegliere quella migliore.«Esattamente», sottolinea l'assessore Liris, «non si tratterebbe, dunque, di una "deportazione", ma di scelte che l'amministrazione farebbe in accordo con i residenti». L'edificio di via Fontesecco è stato costruito nei primi anni del ventennio fascista, come case popolari. Nel tempo i proprietari le hanno riscattate e in parte le abitano. Altre persono sono in affitto con l'Ater. Il palazzo è alto 4 piani e privo di cascensore. Ora ha circa 90 anni.«Parliamo di demolire una costruzione vecchia di quasi un secolo e non vincolata dai Beni culturali», conclude il vice sindaco Liris, «quindi, andremmo a consegnare alle famiglie che verranno spostate, appartamenti in edifici più moderni e anche più sicuri. È ovvio che non dovranno lasciare le loro case dalla sera alla mattina, come accaduto a Genova, perché qui non c'è un pericolo imminente. Ne parleremo con le famiglie interessate e si deciderà insieme. E poi decideremo, insieme alla città, anche cosa fare dell'area sottostante, che resterà libera».