ROMA Cinguetta in solitudine Roberto Fico. E una rondine non fa primavera nel Movimento che ieri era tutto molto indaffarato e non ha trovato tempo, e voglia, di difendere la terza carica dello Stato che ha chiesto di far sbarcare i minorenni a bordo della nave Diciotti. Fico? Non pervenuto, né in chiaro e né a margine della lunga conferenza stampa di Luigi Di Maio. Perché Fico è «un problema del e per il Movimento», ha detto Matteo Salvini. Stai attento, ha scherzato l'altro ieri il capo della Lega, perché quello di presidente della Camera è un ruolo che, quando e se entra nell'agone politico, non ha portato benissimo ai suoi predecessori. «Bertinotti, Fini, Boldrini...mi viene il dubbio che non sia una carica fortunata», ha ironizzato chiudendo in modo facile e veloce la pratica Fico.
LA POSIZIONE
Il presidente della Camera sui migranti dice che la vita viene prima di tutto. Ma Fico non parla. Chi lo ha sentito in queste ore ha cominciato a guardarsi attorno per capire su chi si può davvero contare. L'unica stella polare che viene nominata è Sergio Mattarella. E c'è nervosismo ai piani alti di Montecitorio. Almeno tre ministri gli hanno espresso solidarietà in privato, ma guardandosi bene da esternare le loro posizioni a favore del Che Guevara di Napoli, come lo chiamano scherzando i suoi oppositori interni.
In pubblico dunque si conta solo c'è Barbara Lezzi, titolare del dicastero senza portafoglio del Sud: «Caro Salvini nessuno deve impartire lezioni alla terza carica dello Stato», ha scritto. Ma non c'è il ministro del lavoro Luigi Di Maio e nemmeno quello dei Trasporti Danilo Toninelli che sui migranti la pensano esattamente come Salvini. E ieri lo hanno detto senza fronzoli, rendendo ancora più plastici la divisione e l'isolamento del movimentista. Dalle parti di Fico per tutto il giorno si è giocato d'attesa: «Chissà forse Luigi dirà qualcosa». Ma non è arrivata mezza parola.
LA STRATEGIA
E questo suona peggio di un castigo. Appare come uno sbuffo spazientito contro il Romantico (copyright di Beppe Grillo a Rimini) di Montecitorio. D'altronde Fico a Rimini aveva inaugurato uno stile personalissimo cinema del Novecento: l'opposizione muta. Anzi, a gesti. I cronisti, infatti, dovettero decifrare il suo malumore leggendo il labiale della discussione con Luigi Di Maio. Anche in quel caso, il leader degli ortodossi fece trapelare irritazione per l'unica vera candidatura a premier dentro al movimento ma nel dubbio non scese in campo. Lasciando agli altri il compito di decodificare le sue espressioni. Che dice Fico? Boh.
LE DIFESE
Salvini sbaglia, rompe il fronte Giuseppe Brescia, il presidente della commissione Affari costituzionali, fichista della prima ora, e nella scorsa legislatura vicepresidente della commissione d'inchiesta sul sistema accoglienza. A settembre proporrà un'indagine conoscitiva sull'operato del governo proprio su questi ambiti, schema già visto ai tempi dell'Unione con l'ala sinistra che scendeva in campo contro l'esecutivo.
Ma soprattutto Brescia dice: «Roberto non si tocca, è una risorsa del Movimento». Una difesa d'ufficio, fatta di pomeriggio, quasi obbligata perché spicca un solo dato: chi doveva difendere l'inquilino di Montecitorio non lo ha fatto. Il capogruppo M5S Francesco D'Uva stilerà una nota che sembra un annuncio un po' svogliato con il megafono rivolto ai suoi più che all'esterno: Ricordo a tutti che l'Italia ha sempre salvato vite umane e che i migranti a bordo della Diciotti sono regolarmente assistiti. Passo e chiudo. Fico è sempre più solo. Nemmeno in Campidoglio gli ricambiano l'assist che lui lanciò contro lo sgombero di piazza Indipendenza e a favore di chi si era lamentato di toni e modi usati. Gli unici a stargli vicino tre parlamentari, ed ex deputati usciti dal palazzo e ormai fuori dal giro. Ma dentro, nessuno ha intenzione di muovere un dito. E così l'assalto a Matteo Salvini rimane vuoto, senza un effetto. In molti dentro al M5S hanno pesato le parole di «Roberto», il governista lottatore, con due velocità. Da una parte certo il fronte con Salvini e la Lega, ma all'altra soprattutto l'intenzione di fare breccia dentro al movimento che rimane ancora di più nelle mani di Di Maio. I grillini più perfidi ieri hanno commentato la giornata così: «Non è vero che Roberto è isolato: ha ricevuto la solidarietà della Boldrini e di Gennaro Migliore».
Ma la sua anima di sinistra fa breccia in Vaticano
CITTÀ DEL VATICANO Il feeling tra gli spin doctor di Papa Bergoglio ed il presidente della Camera, Roberto Fico, è sempre più consolidato ed evidente. Ad avvicinare due mondi, quello politico e istituzionale di Fico, il grillino con l'anima di sinistra, e quello religioso attiguo a Santa Marta, l'albergo dove vive e lavora il pontefice, è stata la grande sfida dell'immigrazione. Tema centrale per questo pontificato. Il dramma umanitario della nave Diciotti e l'appello fatto da Fico in aperto contrasto con il ministro dell'Interno, Matteo Salvini ha incassato un assist politico (e morale) di non poco conto. Quello del direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il gesuita che dietro le quinte collabora con il pontefice in campo strategico e comunicativo. Spadaro ha pubblicamente avvalorato la posizione di Fico condividendo l'invito favore dello sbarco dei 177 migranti. «Appello da ascoltare: devono'. Stiamo oltrepassando un limite invalicabile se vogliamo rimanere umani» ha twittato Spadaro. L'assist - non secondario e inedito - racconta molto dell'apprezzamento che sta raccogliendo Fico al di là del Tevere. Un mese fa non erano sfuggite le lodi raccolte dal Presidente della Camera dagli uomini del Papa alla presentazione di un libro sul pontificato, a Palazzo della Pigna di proprietà del Vicariato. Quel giorno Fico raccolse il plauso prima di padre Spadaro e poi di Guzman Carriquiry, vice presidente della pontificia commissione sull'America Latina. «La abbiamo apprezzata per quello che sta facendo per gli immigrati. Domani lo riferirò al Papa quando lo vedrò a pranzo».