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Data: 25/08/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
I migranti della Diciotti - L’Europa dice no al governo «Ipocriti, allora non scendono». Respinte le richieste di Roma: «Le minacce non funzionano».Avuoto il summit degli sherpa. L’ira del premier: «Ne trarremo le conseguenze» Ma Moavero frena: «I contributi? Un dovere legale». Ma Conte tratta per lo sbarco: «Prima la ritorsione anti-Ue»

ROMA Duello a suon di schiaffi (poco) diplomatici tra l'Europa, che non trova l'accordo sulla richiesta italiana di redistribuire i migranti della Diciotti, e il premier Conte, Salvini e Di Maio, che minacciano conseguenze. In dissenso il titolare degli Esteri Moavero, che dà invece ragione a Bruxelles sui 20 miliardi di contributi al bilancio Ue condizionati da Luigi Di Maio all'aiuto effettivo sui migranti. Doppio lo schiaffo dall'Europa all'Italia.
LA REAZIONE
Il primo arriva da un portavoce della Commissione, Alexander Winterstein: «C'è un chiaro obbligo legale a pagare il contributo. In Europa le minacce non servono a niente e non portano da nessuna parte. Il ricatto aggiunge - è una categoria di nessuna rilevanza quando si tratta di trovare soluzioni. La Ue funziona sulla base di regole, cooperazione e buona volontà, non minacce. E poi sarebbe la prima volta che uno Stato membro non versa il contributo, scenario del tutto ipotetico». Posizione rafforzata dal calcolo di quanto l'Italia riceve da Bruxelles: «Dieci miliardi di euro nel 2017, quasi 12 nel 2016, oltre 12 nel 2015, benefici monetari che sono soltanto una piccola parte dei benefici che derivano dall'appartenenza alla Ue e al mercato interno». Altri portavoce ricordano gli oltre 200 milioni in assistenza di emergenza per i migranti e i più di 650 fra 2014 e 2020 per programmi nazionali. E per finire, il contributo dell'Italia al bilancio Ue non sarebbe di 20 miliardi stando al sito della Commissione, ma 12. Dura la risposta Ue, anche perché di solito i portavoce della Commissione non commentano opinioni.
Winterstein assicura che Bruxelles sta lavorando per ottenere una ripartizione dei migranti della Diciotti, solo che i tempi sono lunghi. Peccato che arrivi, puntuale, il secondo schiaffo con la bocciatura da parte degli sherpa di 12 governi convocati a Bruxelles, del documento che avrebbe dovuto gettare le basi per risolvere il caso Diciotti e avviare la riforma dei Trattati di Dublino sullo status dei rifugiati nel segno della solidarietà. Invece niente. Nessun accordo su chi debba accoglierli. A parte il Belgio che dichiara di non volere i migranti clandestini dall'Africa (Non è questa la soluzione), solo la Germania è morbida con l'Italia che non va lasciata sola.
Il Commissario bavarese europeo al Bilancio, Gunther Oettinger, ipotizza tuttavia che se gli italiani non verseranno i contributi, «pagheranno gli interessi». Silenzio da Parigi e Madrid, mentre il presidente di turno, l'austriaco Sebastian Kurz, dà «poco conto alle minacce». Tocca al premier Conte ribattere alla indisponibilità europea e alla bocciatura del documento voluto dall'Italia: «L'Europa non è riuscita a battere un colpo in direzione dei principi di solidarietà che pure vengono declamati. Ne trarremo le conseguenze».
IL PRESSING
E insiste: Ancora una volta misuriamo la discrasia, che trascolora in ipocrisia, tra parole e fatti. E se per Salvini la bocciatura degli sherpa dimostra che «l'Europa non esiste» (incontrerà martedì a Milano il premier ungherese Orban leader del Quartetto di Visegrad anti-migranti e già ieri il ministro degli Esteri di Budapest si è detto in sintonia con lui), Di Maio non arretra sul budget Ue: «A questo punto l'Italia deve prendersi in maniera unilaterale una riparazione». Una fonte anonima di uno Stato Ue fa sapere che «l'Italia è isolata e i ricatti del governo hanno peggiorato il clima». Mentre da noi c'è chi si distingue. Da un lato, per il ministro degli Esteri Moavero (interprete delle posizioni del Quirinale) è triste che l'Unione non collabori, tuttavia «pagare i contributi all'Unione è un dovere legale», dall'altro il presidente leghista del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, chiede e ottiene che i forestali vadano a controllare i confini con la Slovenia per spezzare la rotta balcanica. Intanto il segretario del Pd, Maurizio Martina dice: «O Conte risolve il problema o è meglio che vada a casa».

Ma Conte tratta per lo sbarco: «Prima la ritorsione anti-Ue»

ROMA «Finalmente Conte è arrivato sulle mie posizioni. E' arrabbiato quanto me. Ora serve una ritorsione, bisogna mandare un segnale inequivocabile all'Europa». A sera, dopo che il fallimento del mini vertice di Bruxelles ha dimostrato plasticamente l'isolamento dell'Italia, Matteo Salvini non si toglie l'elmetto.
Il pressing sul ministro dell'Interno però si fa asfissiante. Il premier, insieme a Luigi Di Maio, chiede a Salvini di chiudere la spinosissima pratica della Diciotti. Sollecita lo sbarco dei 150 migranti rimasti a bordo. «Ma prima ci prendiamo una bella riparazione, facciamo capire a Bruxelles che non si può sputare in faccia agli italiani senza pagarne le conseguenze», suggerisce il vicepremier 5stelle.
LA CAPORETTO
Bruxelles, lo sanno a palazzo Chigi e lo sa anche Salvini, si è rivelata una Caporetto diplomatica. Nessuno, tantomeno gli amici sovranisti ungheresi, slovacchi, polacchi, austriaci e cechi, ha mosso un dito per venire incontro all'appello italiano. La redistribuzione su base volontaria degli immigrati a bordo della nave della Guardia costiera è naufragata, al contrario di quanto avvenuto in altre due circostanze (Trapani e Pozzallo).
Il segno che ciò che diceva il giorno prima Di Maio («per ottenere qualcosa dall'Europa serve la linea dura») non ha fondamento. Anzi, davanti alla posizione muscolare scelta dal governo, le Cancellerie europee hanno risposto con un'alzata di spalle. Gettando alle ortiche, come ha annotato un Conte furioso, i «principi di solidarietà e di responsabilità». E azzerando i risultati già scarsi incassati da Roma al Consiglio europeo di giugno.
Ora però l'imperativo di Conte - «rimasto estremamente deluso e amareggiato per l'epilogo di Bruxelles» raccontano a palazzo Chigi - è uscire dall'angolo. E' trovare una soluzione alla drammatica telenovela della Diciotti. Perché la protesta nel Paese monta, il Movimento pentastellato si spacca, il Pd riprende fiato. Perché i magistrati siciliani, che indagano per sequestro di persona, ormai stringono l'assedio al Viminale. E perché la moral suasion del capo dello Stato, che osserva con sempre maggiore preoccupazione la situazione, è ormai asfissiante.
Ebbene, la linea che si sta affermando in queste ore fatte di frenetici contatti tra il premier e i due vicepremier, è quella di annunciare una «ritorsione». Vale a dire: la detrazione dai contributi italiani al bilancio europeo dei soldi spesi per la gestione dei flussi migratori (Salvini parla di 15 miliardi, Di Maio di 20). E, allo stesso tempo, far sbarcare i 150 immigrati ancora a bordo della nave della Guardia costiera. Una soluzione che Conte avrebbe voluto incassare già ieri sera. Ma Salvini si è opposto: «Sono contrario, farli scendere adesso sarebbe una sconfitta politica. Oggi non scende nessuno».
Il responsabile del Viminale però ha aperto a una soluzione che potrebbe portare alla fine del lungo braccio di ferro: l'identificazione a bordo della Diciotti di chi ha diritto all'asilo politico e dunque al riconoscimento dello status di rifugiato. E di chi invece andrà espulso in quanto «semplice migrante economico». Da capire se queste procedure potranno essere svolte in poche ore. Difficile, se non impossibile.
L'ALLARME DEL COLLE
Di certo c'è che nel governo tutti, perfino Salvini, non vedono l'ora di chiudere la partita. Ed è altrettanto certo che a Sergio Mattarella, estremamente attento al rispetto dei trattati internazionali, non ha fatto per nulla piacere ascoltare i due vicepremier minacciare di tagliare il contributo italiano al bilancio europeo. Tant'è che il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha preso la distanza dalla linea muscolare scelta dai colleghi di governo: «Pagare i contributi al bilancio comunitario è un dovere legale». Come dire: la ritorsione non si può attuare. E chi ha parlato con Mattarella scommette su «un bluff»: la sforbiciata verrà annunciata, ma non messa in pratica.
Salvini, in ogni caso, continua la sua battaglia da Sud a Nord. Il governatore del Friuli, Federico Fedriga, ha deciso di mandare le guardie forestali (dieci per l'esattezza) a controllare i «confini orientali dall'invasione dei migranti» solo dopo aver ricevuto il via libera dal capo leghista. In più martedì Salvini vedrà il premier ungherese Victor Orban a Milano. Non per chiedergli di prendersi qualche immigrato («da questo orecchio Orban non ci sente»), ma di rompere con il Partito popolare europeo e associarsi al fronte sovranista in occasione delle elezioni europee della prossima primavera. L'obiettivo: creare la «Lega delle leghe».

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