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Data: 25/08/2018
Testata giornalistica: Il Centro
L'Europa gela l'Italia. Conte va allo scontro. A Bruxelles fumata nera sulla Diciotti. Non si arriva all'accordo sugli sbarchi. Il premier: «Ne trarremo le conseguenze». Moavero critico sullo stop ai fondi. Oettinger avvisa: «Se non pagate, sanzioni». Così il Governo rovescia il tavolo. Linea dura di Palazzo Chigi. Il Pd: «Vada a casa». Riserbo del Colle

BRUXELLES È scontro totale tra l'Italia e l'Unione europea. Casus belli è stata la riunione degli sherpa di dodici Paesi, convocati da Bruxelles per trovare soluzioni comuni a lungo termine sugli sbarchi dei migranti e finita con una fumata nera sulla ridistribuzione dei 150 bloccati a bordo di nave Diciotti, mettendo a nudo un'Italia sempre più isolata. «L'Europa non è riuscita a battere un colpo in direzione dei principi di solidarietà e di responsabilità che pure vengono costantemente declamati quali valori fondamentali. Ne trarremo le conseguenze», ha attaccato il premier Giuseppe Conte, puntando il dito contro «l'ipocrisia» dei partner, mentre dal Viminale l'esito dell'incontro veniva bollato come «l'ennesima dimostrazione che l'Europa non esiste». «Un ente astratto», l'ha liquidata il ministro Matteo Salvini, deciso ad andare avanti con la linea dura sulla Diciotti. Anche Luigi Di Maio è intervenuto con un post di fuoco: «A questo punto l'Italia deve prendersi in maniera unilaterale una riparazione. Non abbiamo più intenzione di farci mettere i piedi in testa. Siamo pronti a tagliare i fondi che diamo all'Ue. Vogliono 20 miliardi dei cittadini italiani? Dimostrino di meritarseli». Poche ore prima la Commissione europea, di solito restia a commentare le dichiarazioni dei leader politici, aveva risposto seccamente all'ultimatum sul taglio dei fondi lanciato già ieri dal vicepremier pentastellato: «C'è un chiaro obbligo legale a pagare il contributo al budget dell'Unione. Le minacce in Europa non portano da nessuna parte. Il ricatto è una categoria di nessuna rilevanza quando si tratta di trovare soluzioni». Ricordando che l'Unione funziona sulla base di «regole, cooperazione e buona volontà». Non, appunto, di minacce. Una posizione a cui si è associato anche il ministro-colomba degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che forse nel tentativo di gettare acqua su un incendio che con il trascorrere delle ore è invece divampato, ha chiarito in dissonanza con i suoi colleghi che «pagare i contributi all'Unione europea è un dovere legale. Ci confronteremo su queste e su altre questioni».«Mi auguro sia uno scherzo, non è questo il modo di confrontarsi con l'Europa», ha bacchettato il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, bocciando quei «ministri che fanno sparate demagogiche». Ma se il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, presidente di turno del Consiglio Ue, ha fatto spallucce («Do poco conto alle minacce, specialmente a minacce del genere»), il Commissario europeo al Bilancio, il bavarese Gunther Oettinger, dal suo account Twitter ha lanciato l'hashtag #cooperazione-non-minacce. Il tedesco (già ai ferri corti in passato con Salvini e Di Maio dopo aver detto che «lo sviluppo negativo dei mercati porterà gli italiani a non votare più a lungo per i populisti») ha messo in guardia: «Se l'Italia si rifiutasse di pagare i suoi contributi al budget Ue sarebbe la prima volta nella storia e comporterebbe interessi per ritardi nei pagamenti. Sarebbe una violazione delle obbligazioni dei trattati che condurrebbe a possibili ulteriori pesanti sanzioni». Berlino è stata l'unica capitale a spendere parole a favore di Roma, invitando a «non lasciare sola l'Italia» sulla Diciotti. Silenzio invece da Parigi e Madrid, con il presidente Emmanuel Macron e il premier socialista Pedro Sanchez che non sembrano più disponibili a fare concessioni politiche al governo giallo-verde e numerosi sherpa (erano presenti Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Malta, Grecia e Irlanda) che al termine della riunione di Bruxelles si sono rifiutati di firmare la dichiarazione congiunta che gettava le basi per il lavoro sulla responsabilità condivisa sugli sbarchi e una soluzione per la Diciotti. Il barometro tra Roma e Bruxelles, insomma, segna tempesta.

Così il Governo rovescia il tavolo. Linea dura di Palazzo Chigi. Il Pd: «Vada a casa». Riserbo del Colle

ROMA Ci saranno conseguenze. Da ora in avanti l'Italia non farà più sconti all'Europa. Il premier Giuseppe Conte tira fuori gli artigli e rovescia il tavolo di Bruxelles che ha lasciato l'Italia - denuncia - sola ad affrontare l'emergenza migranti. Una reazione forte, molto più di quelle riservate ad altre crisi sul fronte migratorio. E che risveglia i timori anche del Quirinale che comunque - pur restando alla finestra - a riserbo aggiunge riserbo. Anche perché, è il ragionamento che viene fatto notare da fonti parlamentari, la politica estera è di competenza del Governo. Resta, certo, la preoccupazione del Colle per l'acutizzarsi dello scontro con gli alleati europei, ma anche la convinzione che il Presidente della Repubblica non possa mettere all'ordine del giorno della sua agenda interventi continui per risolvere emergenze di questo tipo. Se poi si aggiunge l'aut aut di Salvini che ha chiesto al capo dello Stato di tirarsi fuori dalla vicenda, margini di manovra non se ne vedono. Quanto al governo, la presa di posizione di Conte appare quasi obbligata dal cul de sac in cui i due vicepremier hanno condotto palazzo Chigi. Da un lato la scelta di Salvini di non cedere sulla questione Diciotti e dall'altro quella di Di Maio che ha rilanciato minacciando l'Europa di tagliare il contributo italiano. C'è chi, tra i componenti dello stesso governo, assicura che una risposta così negativa da parte degli sherpa europei non fosse stata neppure messa in conto da palazzo Chigi: «Credo si aspettassero tutti una maggiore apertura». Ma ora il dado è tratto e il governo non può che andare avanti sulla strada di quella che lo stesso vicepremier 5 Stelle chiama «riparazione»: i 20 miliardi di contributo che il capo politico M5s non vuole pagare e che per il ministro degli esteri Enzo Moavero sono invece intoccabili. «Vedremo di pagare l'Europa un po' di meno» è il compromesso che trova Salvini. La maggioranza giallo-verde dà quindi mostra di compattezza, anche se la portata della crisi ad alcuni suona come il campanello di allarme di un tentativo di strappo da parte del leader della Lega nei confronti del governo. Un modo per avere mani libere alla vigilia di un autunno che si prefigura molto caldo e con il rischio di una tempesta finanziaria che potrebbe minare comunque la tenuta del governo. Un'ipotesi, quella delle sirene leghiste di una crisi, che potrebbe anche essere tra i motivi della riservatezza del Quirinale, che non vuole essere considerato parte in causa di una eventuale rottura istituzionale. Non la pensa però così il Pd che chiede a gran voce l'intervento di Mattarella contro «la scelta disumana del governo». Mentre Martina accusa: «Siamo in presenza di un Governo che sembra quasi auspicare» una tempesta dei mercati e che «mette le mani avanti dimostrando in questo modo di non avere gli strumenti per affrontare le conseguenze» delle sue azioni. Si devono rendere conto che così facendo stanno contribuendo a generare un clima di preoccupazione». Meglio che «se ne vada a casa».

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