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Pescara, 24/07/2024
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Data: 26/08/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Ex Arpa, stangata del giudice per 300mila euro non versati. La Cassazione respinge il ricorso della vecchia azienda di mobilità pubblica abruzzese e la condanna a pagare all’Inps i contributi previdenziali non versati per alcuni contra

in contratti a tempo indeterminato, considerandoli alla stregua di nuove assunzioni, per le quali aveva applicato gli sgravi contributivi previsti dalle norme vigenti all’epoca. L’errore, si era difesa la società, era scaturito da una circolare emessa dall’Inps, in base alla quale era stato determinato di poter accedere al beneficio degli sgravi.
LA CARTELLA. Da un riscontro effettuato dall’Inps era emerso il versamento irregolare, e a seguire era stata emessa la cartella di pagamento per complessivi 308.205 euro per «accertata evasione contributiva». Anche sul termine “evasione” l’ex Arpa non è mai stata d’accordo. Semmai, si sarebbe trattato di “omissione”, hanno sostenuto in giudizio i legali della ex società di trasporto pubblico, dal momento che non c’era stato alcun occultamento dei rapporti di lavoro, ma una erronea valutazione dei benefici fruibili.
I RICORSI. Il tribunale di Chieti aveva già respinto il ricorso. La Corte d’appello dell’Aquila, nel 2012, aveva aderito all’orientamento dei colleghi di primo grado, e ora anche la Cassazione ha detto no, confermando la cartella. Tra l’altro, la società ha anche sostenuto che le somme richieste fossero prescritte, ma la Suprema Corte, citando una pronuncia precedente, ha ritenuto il motivo infondato.
GLI SGRAVI. Il motivo principale per il quale la Corte ha respinto il ricorso è da ricercarsi nella natura e nelle finalità degli sgravi contributivi previsti all’epoca dei fatti. «Presupposto per l’applicabilità dello sgravio», scrivono i giudici, «è che l’impresa abbia realizzato un incremento occupazionale mediante nuove assunzioni di personale, in coerenza con le finalità volte a incentivare l’occupazione in determinate zone d’Italia a favorire la ripresa economica delle stesse zone; ne consegue che il beneficio non compete nel caso di trasformazione di un contratto di lavoro a tempo parziale in contratto a tempo pieno, trattandosi di una mera modificazione della quantità temporale della prestazione lavorativa già in essere».
LA SENTENZA. La Corte ha rigettato il ricorso e non ha accolto neanche la parte con la quale si chiedeva una riduzione delle sanzioni. Oltre ai contributi la società dovrà pagare le spese di giudizio in favore dell’Inps, liquidate in 5.200 euro.

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