Il 64 per cento delle aziende controllate dall’Ispettorato del lavoro nel 2017, 103.498 su 160.347, presentava irregolarità, da forme di elusione previdenziale, assicurativa e fiscale (come il mancato assoggettamento a Inps, Inail e Irpef di parte della retribuzione corrisposta), a lavoro parzialmente «sommerso» (per esempio, rapporti in part-time che, invece, risultano a tempo pieno) fino a lavoro completamente in «nero».
Sono oltre un milione e mezzo le persone senza contributi e che non risultano al fisco anche se lavorano regolarmente ogni giorno in aziende italiane, almeno in una su tre di quelle controllate dall’Ispettorato del lavoro nel 2017. Un piccolo esercito che resta nascosto e che però ogni anno fa perdere allo Stato, in gettito mancato, tra redditi non dichiarati e contributi non pagati, circa 20 miliardi e 600 milioni di euro. A rivelarlo è la Fondazione studi dei consulenti del lavoro, che ha rielaborato i dati del primo anno di attività dell’Ispettorato nazionale del lavoro. «Il sommerso — dice il presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro Rosario De Luca — è in forte aumento soprattutto dopo la depenalizzazione, avvenuta col Jobs act, del reato di intermediazione fraudolenta di manodopera».
I risultati
Nel 2017, però, l’Ispettorato ha raggiunto alcuni obiettivi, applicando le nuove, più pesanti sanzioni in materia di caporalato nel settore agricolo: «Si registrano — dicono — il deferimento di 94 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali 31 in stato di arresto, e l’individuazione di 387 lavoratori vittime di sfruttamento. Il 2018 presenta, poi, dei dati relativi ancor più incoraggianti: nel primo semestre dell’anno in corso si rileva il deferimento di 60 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali una in stato di arresto e 47 in stato di libertà, e l’individuazione di 396 lavoratori coinvolti, mentre sono stati adottati nove provvedimenti di sequestro».