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Data: 27/08/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Di Maio difende Salvini: «Ma rispetti i magistrati». Il governo all'assalto Ue, incognita mercati «Ora schema Diciotti anche per il bilancio»

CATANIA Gli immigrati sono scesi dalla nave Diciotti, la polemica politica risale. Luigi Di Maio ha dovuto definire i contorni della posizione del Movimento 5 Stelle frenando l'alleato sulla giustizia, dopo che il giorno precedente la scena era stata occupata da Matteo Salvini che aveva annunciato, ancora prima del presidente del Consiglio, la soluzione del caso grazie all'aiuto della Chiesa, e poi aveva attaccato la magistratura per l'indagine che lo riguarda.
Di Maio, 24 ore dopo, ha attaccato la politica dell'Ue sui migranti, spiegato che il governo è compatto, assicurato il suo sostegno a Salvini, ma chiesto anche rispetto per la magistratura.
Inevitabilmente, sui social hanno viaggiato a duecento all'ora gli screenshot di quando Di Maio, dall'opposizione, per un altro ministro dell'Interno indagato, Alfano, chiese dimissioni immediate. Due pesi e due misure, lo hanno accusato dal Pd, a partire da Matteo Renzi. A chiudere il cerchio, il monito della Cei: «Non si può fare politica sulla pelle dei poveri». Come dire: stiamo aiutando i migranti, ospitandoli nelle nostre strutture, ma non significa che avvalliamo la linea del governo.
NOI CON SALVINI
Ripartiamo da Di Maio. Il leader del Movimento 5 Stelle osserva: «Salvini deve andare avanti, non ha violato il codice etico del contratto di governo e dei Cinque stelle. Il governo si assume la responsabilità politica delle scelte fatte sul caso della nave Diciotti, ma c'è pieno rispetto per l'azione della magistratura, non attacchiamo i magistrati che indagano. Non facciamo piombare di nuovo questo Paese negli scontri tra procure, pm e politica». Noi con Salvini, noi con i magistrati è il difficile equilibrio cercato da Di Maio, incalzato poi dalla spietatezza degli screenshot che ricordano una sua pozione opposta quando il ministro dell'Interno indagato non era un suo alleato, ma Angelino Alfano, a cui chiese di «dimettersi dopo cinque minuti». Di Maio ha provato a uscire dall'angolo con una battuta: «Alfano si doveva dimettere perché era Alfano». Ma dalla minoranza hanno replicato: ipocrisia. Matteo Renzi: «Non chiediamo a Di Maio di fare dimettere Salvini in 5 minuti. Noi diciamo solo a Di Maio che la sua doppia morale è una vergogna civile. E che manganellare via web gli avversari quando fa comodo non è politica, è barbarie».
«Impressionante il servilismo di Di Maio verso Salvini, zero coerenza», sottolinea il segretario Pd Maurizio Martina. Da Forza Italia, si schierano con Salvini contro i giudici, Silvio Berlusconi ma anche Antono Tajani, che dice di ritenere urgente la riforma della magistratura. E il ministro della Giustizia? Il grillino Alfonso Bonafede è prudente: «Governo compatto, la magistratura può essere criticata ma mai offesa: ventilare un movente politico dietro l'azione dei magistrati appartiene a una stagione politica tramontata».
NO WAY
Nicola Zingaretti, in corsa per la leadership del Pd, ha attaccato: «La verità è che hanno sequestrato 140 eritrei per distrarre 60 milioni di italiani dal nulla del Governo». Ma il leader dei 5 Stelle, parlando con Sky Tg24, però ha preso le distanze da Salvini su un altro tema, quello dell'applicazione del sistema australiano in Italia per fermare l'immigrazione: «Che il no way australiano non sia nel contratto di governo è chiarissimo sin dal primo giorno, poi so che il suo obiettivo è quello. Come politiche di governo siamo per fermare le partenze». Sulle timidezze dell'Ue: «Confido nel fatto che questi commissari e burocrati europei prendano coscienza del fatto che loro politicamente hanno le ore contate, perché alle prossime elezioni europee saranno spazzati via. Questa gente non vedrà mai più il ruolo di commissario nella propria vita, le prossime elezioni europee saranno ancora di più un terremoto rispetto a quelle italiane del 4 marzo».

«Ora schema Diciotti anche per il bilancio» Il governo all'assalto Ue, incognita mercati

ROMA Una volta chi stava al governo si guardava bene dall'annunciare solo il rischio di «un autunno caldissimo». Anche perchè l'espressione autunno caldo - coniata dal socialista Francesco De Martino - serviva per sintetizzare la valanga di scioperi e manifestazioni sindacali di mesi e mesi che portarono poi alla caduta - nell'estate del 69 - del governo Rumor. Ieri è stato invece il vicepremier e pluri ministro Luigi Di Maio ad evocare l'avvicinarsi di una stagione «caldissima» di lotte. Stavolta - ovviamente - non contro il governo e le sue promesse, ma contro «i poteri forti che ci stanno facendo la guerra in questo momento». Una teoria, quella dei «poteri forti», quasi metafisica. Certamente più pericolosa - a giudicare dall'allarme - di quella che evoca i rischi delle scie chimiche. Se non altro perchè - avverte il vicepremier - i «poteri forti» potrebbe determinare la composizione della manovra di bilancio e quindi non permettere che si facciano in un colpo solo la riforma della legge Fornero, la sterilizzazione delle clausole che permetterebbero all'Iva di salire, il reddito di cittadinanza e la flat tax.
I CONSENSI
La corsa ad imporre la propria agenda ha visto sinora i pentastellati in perenne affanno rispetto all'alleato. Per come si sono strutturati in questi mesi gli equilibri interni alla maggioranza, malgrado il M5S abbia il doppio dei consensi della Lega, sarà difficile che la legge Bilancio rispetti con misure pro-quota le percentuali del 4 marzo. E così il vicepremier ieri è andato in tv, da Sky, per ricordare all'Europa la lista della spesa promettendo di fare il buono sul bilancio comunitario - come sulla ratifica del Ceta - se Bruxelles darà «segnali di aiuto». Ovvero se concederà margini di flessibilità. Uno scambio, quindi, simile a quelli che, secondo i grillini, avrebbero fatto i precedenti governi.
Se non fosse che a Bruxelles il tono di sfida del governo italiano di questi giorni continua ad essere osservato con un certo sgomento. La questione della nave Diciotti, al netto dell'avviso di garanzia spedito al ministro Salvini - viene considerata alla stregua di una prova generale in attesa della legge di Bilancio.
Malgrado i due vicepremier sostengano pubblicamente il contrario, le trattative con la Commissione sono in corso da tempo ma riprenderanno con una certa intensità al rientro del ministro dell'Economia Giovanni Tria dalla Cina dove è andato in missione con il vice direttore della Banca d'Italia Fabio Panetta, per cercare investitori interessati a sottoscrivere quote di debito pubblico. A pesare sulla manovra e sulla sua entità, non sono quindi gli evocati «poteri forti», quanto la massa di debito pubblico che l'Italia deve costantemente finanziare. Un problema che a palazzo Chigi e al ministero di via XX Settembre è molto chiaro, ma che la rincorsa tra Lega e M5S rischia di accentuare. Di Maio, promettendo a Bruxelles un possibile «ravvedimento» se verranno concessi margini di flessibilità, cerca una compensazione che in un certo senso risarcisca l'Italia dal mancato sostegno sulla Diciotti. Una linea che però, oltre a scontrarsi con Bruxelles, non tiene conto delle attese degli investitori che, ovviamente, tengono nel dovuto conto la capacità dei debitore di mantenere i propri impegni.
LA SCOMMESSA
La massa di debito pubblico, l'ottavo al mondo, potrebbe non concedere molti margini, ma Di Maio e Salvini sono convinti che il peso che l'Italia ha nella moneta unica non permetta a Parigi, Berlino e Francoforte di disinteressarsi del futuro dello Stivale e della sua massa di debito. Una scommessa e un braccio di ferro con Bruxelles. In attesa dei giudizi di Moody's e di Fitch.

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