ROMA La parola chiave pronunciata da Matteo Salvini dopo il vertice con gli uomini della Lega coinvolti in prima persona nella stesura della prossima legge di Bilancio è «arco della legislatura». Le costose promesse elettorali saranno spalmate sui prossimi tre anni, non cinque, perché questo è l'orizzonte del bilancio pubblico. Una secchiata di acqua ghiacciata gettata dal leader della Lega sul fuoco che negli ultimi giorni ha incendiato i mercati e fatto balzare lo spread. Frutto anche dell'incontro che lo stesso Salvini ha avuto il giorno prima con il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Anche il punto dove il leader della Lega ha posizionato ieri l'asticella del deficit per il prossimo anno continua a scendere. Lo sfondamento del 3% è stato archiviato. Ma se nei giorni scorsi Salvini si era comunque detto pronto a «sfiorare delicatamente» il limite di Maastricht, secondo chi ha partecipato alla riunione di ieri, il leader ora si accontenterebbe di un deficit di poco superiore al 2%. La cifra, insomma, inizia a convergere con quella alla quale starebbe lavorando il ministro dell'Economia, che, invece, punterebbe ancora a stare attorno, meglio se sotto, il 2%. Se il messaggio era rivolto ai mercati, lo hanno recepito.
Le notizie che sono arrivate dal vertice al Viminale, sono state accolte positivamente, e lo spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è sceso a 266 punti. Il cambio di rotta di Salvini va interpretato probabilmente, proprio alla luce della reazione dei mercati. Il leader della Lega si è reso conto che le esternazioni sue e dei principali esponenti del suo partito, sono quelle che davvero muovono il differenziale. Più dei Cinque Stelle. Ieri, per esempio, Luigi Di Maio, ha di nuovo rilanciato sul reddito di cittadinanza, dicendo che per il M5S è «la priorità», ma lo spread è sceso comunque.
LE SCHERMAGLIE
Schermaglie. Una risposta al vertice della Lega. Anche perché la decisione dei leghisti di non andare più all'attacco di Bruxelles costringe in un angolo il Movimento. Di Maio aveva preannunciato un «autunno caldo». Dopo l'agenda sui migranti dettata da Salvini, sperava di poter prendere finalmente in mano il pallino rilanciando le battaglie economiche dei Cinque Stelle. Ora rischia di restare solo con il cerino in mano. In realtà Salvini fa un passo importante verso lo stesso Di Maio, mettendo nel congelatore tutte le grandi opere, da sempre avversate dai Cinque Stelle, e sposando l'idea lanciata dagli stessi grillini di un «grande piano nazionale di manutenzione ordinaria e straordinaria». Questo anche perché il leader del Carroccio non ha nessuna intenzione di rompere con l'alleato. Anzi. Il suo interesse a questo punto, è che il matrimonio duri. Cosa resta e in che tempi, allora, della flat tax, della riforma della Fornero, della riduzione delle accise sulla benzina e di tutte le altre promesse della Lega? Il Carroccio, come ha confermato ieri lo stesso Salvini, le porterà avanti tutte. Prima la riforma della Fornero con quota 100, che sarà la principale proposta leghista per la manovra. Il resto con gradualità e tenendo conto delle risorse disponibili. La flat tax partirà dalle partite Iva, per le quali sarà allargato il regime forfettario con il prelievo al 15%. Probabilmente la soglia di fatturato per aderire sarà più bassa dei 100 mila euro. Poi, nel prossimo triennio, si passerà all'imposta sulle persone. L'incontro di ieri è stato un primo appuntamento. Ce ne sarà uno la prossima settimana e domani è atteso un vertice di Conte con i suoi vice e il ministro Tria. Una volta deciso cosa portare avanti, il pacchetto delle proposte leghiste sarà sottoposto al vaglio del ministro dell'Economia che da ieri è anche alle prese con i report dei ministeri che dovrebbero tagliare le spese.
La contesa tra M5S e Lega su quanta flat tax e quanto reddito di cittadinanza introdurre nella manovra, è però destinata ad inasprirsi con i grillini da ieri un po' più soli nella battaglia contro l'Europa, ma soprattutto contro le agenzie di rating e che cominciano a scalpitare con il ministro Tria colpevole di non aver ancora distribuito le deleghe ai suoi sottosegretari.