PESCARA L'Abruzzo cresce. Aumenta l'export, con gli indicatori che salgono del 5,1% nel secondo trimestre del 2018 (rispetto allo stesso periodo del 2017) e del 0,9%, se raffrontiamo il dato con quello del 2008, e aumenta il lavoro, anche se precario. Una crescita, sempre riferita al secondo semestre del 2018, del 4% che pone la nostra regione ben al di sopra della media italiana che è dell'1,7%, e di quella dell'area di riferimento, il Mezzogiorno, dove gli occupati aumentano del 2,2%. A trainare l'export c'è la provincia di Pescara, che rispetto al 2017 ha venduto all'estero merci per 438 milioni, il 52,3% in più rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente. Un dato ancora più evidente se lo si confronta con quello del 2008, con una variazione del 96,1%. Complessivamente, l'export abruzzese nel secondo semestre dell'anno vale quasi 4 miliardi e mezzo di euro. Ne parliamo con il professor Giuseppe Mauro, ordinario di di Politica economica dell'Università d'Annunzio.Professore, qual è lo scenario che emerge dalla lettura di questi dati?«Per quanto riguarda l'export direi che il quadro non muta rispetto alle precedenti rilevazioni, con grandi imprese molto competitive, che rappresentano il motore della produzione abruzzese in Europa e nel mondo. Emergono anche il ruolo primario dei mezzi di trasporti che ormai assorbono il 50% del totale complessivo dell'export, e una tenuta del livello occupazionale della manifattura. Ci sono però delle novità che vanno sottolineate: la prima è costituita dall'agroalimentare che cresce in maniera interessante, addirittura il 50% sul dato pre crisi, e questo è un settore largamente endogeno; la seconda novità riguarda la ripresa del tessile abbigliamento e pelletteria. Il dato appare ampiamente positivo anche per quanto riguarda l'occupazione. «Sì, lo è sotto un duplice profilo: quello congiunturale, perché c'è un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, che è il valore più alto di tutte le altre circoscrizioni; il secondo profilo è interessante perché con questo livello di occupazione l'Abruzzo per la prima volta si avvicina al valore del 2008, cioè il periodo pre-crisi. Ovviamente, all'interno di questi indicatori ci sono da fare delle considerazioni: la prima è che quasi tutto l'incremento occupazionale è dovuto al lavoro precario, e questo testimonia lo stato di incertezza che ancora regna tra le imprese per quanto concerne l'attività di investimento. La seconda considerazione è che l'incremento registrato è dovuto essenzialmente a una ripresa in questo ultimo anno del settore dei servizi e dell'edilizia, mentre si verifica un leggero calo dell'industria in senso stretto, che passa da 129mila unità del 2017 a 121mila del 2018». Fin qui i numeri, ma si può parlare davvero di ripresa?«C'è una terza considerazione, ed è quella che mi sembra quella più pertinente in senso interpretativo. A mio parere sussiste ancora una separazione tra l'andamento economico, con riferimento al pil, e la società, e quindi tra aspetti economici e sociali. Intendo dire che la regione può anche ottenere miglioramenti sotto il profilo economico, ma la questione sociale non è ancora risolta. Il riferimento va ai giovani, che in larga parte non riescono a penetrare nel mercato del lavoro, o che addirittura tendono ad emigrare, e alle disuguaglianze sociali. Che tipo di impegno è richiesto? Tutti i protagonisti della vita regionale, maggioranza, opposizione, attori economici e sociali vorrebbero un Abruzzo moderno, attrattivo, e capace di raggiungere i livelli di crescita delle regioni più avanzate, ma purtroppo le risorse sono scarse. Lo sforzo dovrebbe essere quello di gestirle al meglio, eliminando tutti gli sprechi, potenziando le imprese minori con misure appropriate, fare una campagna per dimostrare che conviene investire in Abruzzo. Sono tutti obiettivi raggiungibili, alcuni anche nel breve periodo, ma sopratutto credo che sia opportuna una chiara politica economica di medio termine, un disegno strategico in grado di definire poche visibili priorità, in sintonia con le risorse disponibili. Sarebbe un bel passo in avanti non solo per uscire dall'inconcludente querelle politica, ma per iniziare a discutere sul volto da dare all'Abruzzo del futuro. Il potenziamento della piccola impresa è fondamentale perché l'Abruzzo non può reggersi solo e soltanto sulla grande capacità esportatrice delle multinazionali esistenti. In conclusione, io credo che bisogna lavorare per un sistema economico competitivo, che richieda almeno tre percorsi fondamentali: infrastrutture adeguate, sistema bancario efficiente e vicino alle piccole imprese, un sentiero di innovazione che vede l'Abruzzo ancora in ritardo sulle altre regioni europee.
È soddisfatto il presidente vicario Lolli «Frutto del lavoro svolto dalla Regione»
«I dati che ha presentato l'Istat sono molto buoni, sono anche il frutto del lavoro svolto in questi anni dalla Regione». Commenta così il presidente vicario, Giovanni Lolli (nella foto), i dati diffusi dall'Istat su export e occupazione, che vedono ventimila occupati in più (505mila, contro i precedenti 485mila), e meno disoccupati, che passano da 64mila a 62mila . In calo anche il numero degli inattivi, che scende dai 307mila del 2017 ai 284mila di quest'anno (-23mila). «Se si raffrontano i dati attuali con quelli del secondo trimestre 2014, epoca dell'insediamento dell'attuale governo regionale», osserva Lolli, «si registra un aumento notevole degli occupati (+46mila), una parità nel numero dei disoccupati e una forte riduzione degli inattivi (-67mila). Ovviamente andranno analizzati anche nella loro composizione per capire in che misura questa occupazione è stabile, e comunque resta il problema della mancanza di lavoro, che è sempre al primo posto nella nostra agenda».