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Data: 13/09/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso la manovra di bilancio - È partito l'assedio a Tria duello Di Maio-Salvini per chi strappa più risorse. I Cinquestelle: «Più fondi sul reddito o il ministro si dimetta». Poi la frenata. `Il titolare dell’Economia chiama Conte: «Se continua così sarò io ad abbandonare». Tra sussidio e riforma della previdenza sforati i 10 miliardi pattuiti con il Tesoro

ROMA «Nessuno vuole le dimissioni di Tria, non possiamo permettercelo. Lo spread andrebbe alle stelle e i mercati ci sbranerebbero. Ma il ministro deve ricordarsi che lì ce l'abbiamo messo noi, che esiste un contratto di governo che va rispettato. E dunque Tria deve fare ciò che gli diciamo». A sera, dopo una giornata ad altissima tensione, nel quartier generale dei 5stelle dichiarano una fragile e minacciosa tregua con il responsabile dell'Economia. Ma la guerra, e la competizione tra grillini e la Lega per chi riesce a strappare più risorse, è appena cominciata. E non si fermerà fino a quando la legge di stabilità non sarà stata messa nero su bianco.
L'offensiva di Luigi Di Maio ha tre obiettivi. Ottenere 9-10 miliardi con cui finanziare il reddito di cittadinanza in tempo per le elezioni europee di maggio: centri per l'impiego e pensioni di cittadinanza da gennaio e da fine aprile il via all'erogazione del reddito da 780 euro mensili. Avvertire la Lega a non frenare la misura-simbolo dei 5stelle. E obbligare Tria a smetterla di difendere il gasdotto Tap e l'alta velocità Torino-Lione. Due opere pubbliche che, dopo aver dovuto ingoiare la ripartenza dell'Ilva di Taranto, rischiano di creare problemi serissimi al MoVimento.
Come da copione, anche questa volta ad aprire le danze è Stefano Buffagni, mente economica pentastellata: «Tria fa parte di un governo che ha firmato un contratto. Rispetto il ministro, ma lui deve rispettare le forze politiche che lo supportano. C'è un contratto di governo e a quello si fa riferimento», tuona il sottosegretario grillino a metà mattina rispondendo a una domanda su Tav e Tap.
Poco più tardi da fonti 5stelle arriva addirittura la minaccia della richiesta di dimissioni: «Nella legge di stabilità ci aspettiamo 10 miliardi per il reddito di cittadinanza, o chiederemo a Tria di lasciare».
Bastano queste parole per far schizzare in alto lo spread (257 punti). E per portare la Borsa in negativo (-0,8%). Tant'è, che dopo una manciata di minuti arriva la smentita di palazzo Chigi: «Risulta infondata la notizia secondo cui il MoVimento 5Stelle avrebbe esercitato pressioni sul ministro dell'Economia, anche in riferimento a sue possibili dimissioni».
IL DOPPIO COLLOQUIO
Dicono che dietro la frenata di Giuseppe Conte ci sia stata una garbata, quanto determinata, moral suasion del Quirinale. E soprattutto le telefonate di Tria al premier e a Di Maio. Nel doppio colloquio, il ministro ha spiegato a Conte e al leader grillino che andare oltre all'1,6% nel rapporto deficit-Pil per soddisfare le richieste di 5stelle e Lega, vorrebbe dire innescare una furiosa tempesta sui mercati finanziari. «E se dovesse finire così, sarei io a dimettermi...». Perché vale il discorso fatto a Cernobbio: «E' inutile cercare 2-3 miliardi per le riforme, se ne perdiamo 3-4 a causa del rialzo dello spread».
Di certo, la controffensiva grillina indispettisce Matteo Salvini. Il leader leghista vuole strappare 6-8 miliardi per la riforma della legge Fornero (quota 100 con 62 anni di età) e teme che l'attacco pentastellato riduca i suoi margini di spesa. In più, da un paio di settimane Salvini ha compreso quanto sia inutile e dannoso «lanciare proclami che mettono in allarme in mercati e finiscono per restringere ulteriormente gli spazi della manovra economica e dunque le misure». «Se i 5stelle vogliono strappare qualche miliardo per il loro reddito di cittadinanza», aggiunge un ministro leghista, «si rimbocchino le maniche per cercare le coperture necessarie e la smettano di fare casino».
Di Maio però non arretra. La competizione con la Lega è tornata feroce in vista delle elezioni europee e il capo 5stelle, a sera, afferma: «Il reddito lo facciamo. Assicurandoci di tenere i conti in ordine, ma lo facciamo».

Tra sussidio e riforma della previdenza sforati i 10 miliardi pattuiti con il Tesoro

ROMA I vertici si susseguono. E i dubbi anche. Sia sul fronte della Lega che su quello dei Cinque Stelle. Dare sostanza alle promesse contenute nel contratto di governo non è semplice, e la strategia della «gradualità» disegnata dal ministro dell'Economia Giovanni Tria, inizia a mostrare delle crepe agli occhi di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Prendiamo il leader della Lega. Due giorni fa ha riunito il gotha economico del suo partito per fare il punto. Gli hanno portato tabelle e simulazioni sul taglio della prima aliquota fiscale, quella accettata da Tria, dal 23% al 22%. Fatti i conti si sarebbe trattato di un taglio delle tasse di nemmeno 10 euro a contribuente al mese, al costo di 4,072 miliardi. Soldi, per il leader della Lega, buttati letteralmente nel cestino. Meglio allora concentrarsi sulla legge Fornero, la riforma delle pensioni. E anche qui la discussione è stata accesa. Tria ha messo a disposizione delle proposte di Cinque Stelle e Lega, 10 miliardi, da dividere equamente: 5 miliardi al Carroccio e 5 miliardi ai grillini. Il conto delle proposte ha già ampiamente sforato questo tetto. Per stessa ammissione dei partecipanti al vertice, la sola proposta sulle pensioni, con l'uscita a 62 anni con 38 di contributi, avrebbe un costo tra i sei e gli otto miliardi di euro. Senza contare la flat tax sulle partite Iva e i professionisti, il taglio dell'Ires per le imprese che reinvestono gli utili, e il taglio delle accise. Anche quest'ultima voce, per avere un qualche impatto percepibile, avrebbe bisogno di almeno 3 miliardi.
IL CONTO
Ma se il conto della Lega sale, quello dei Cinque Stelle non è da meno. Luigi Di Maio ha impostato la preparazione della prossima manovra in una maniera non molto di versa da quella di Salvini. Anche per il leader grillino l'obiettivo irrinunciabile è quello di far uscire dalla legge di bilancio misure che abbiano un impatto concreto e soprattutto ben percettibile, sulle persone interessate. Tutto lo sforzo dei Cinque Stelle è concentrato sul Reddito di Cittadinanza. Per farlo partire con un importo per famiglia di almeno 600-700 euro mensili, sono necessari, secondo gli ultimi conteggi, 9 miliardi di euro. Certo, una parte dei soldi potrà essere recuperata riassorbendo i 2,7 miliardi del Rei, il reddito di inclusione, una misura comunque rivolta alle persone in situazione di disagio. Come Salvini, anche Di Maio inizia a sospettare della strategia di Tria. Nel caso dei grillini il problema è che il ministro ha messo a lavorare i suoi staff su una proposta che assorba anche altre misure nel reddito di cittadinanza, come ad esempi la Naspi, l'assegno di disoccupazione. Il problema è che si tratterebbe di una «redistribuzione». La Naspi consente di pagare assegni fino a 1.300 euro a chi ha perso il lavoro, dimezzare l'assegno per versarne una quota a chi, magari, non ha mai lavorato, potrebbe far perdere consenso. Tria dal canto suo, se i leader chiedono soltanto misure «aggiuntive», senza sottrarre niente da vecchie spese, potrebbe avere qualche difficoltà a far quadrare i conti. Fino ad oggi la Commissione europea si sarebbe detta disposta a concedere una flessibilità fino all'1,6% del Pil. Quanto basta soltanto per disinnescare l'aumento dell'Iva. I partiti vorrebbero alzare l'asticella del deficit al 2,1-2,2%. Se non sarà concesso da Bruxelles, il menu della prossima manovra rischia di perdere qualche portata. Di quelle più gustose.

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