ROMA L'idea circola, rimbalzando tra il governo e gli ambienti imprenditoriali: facilitare l'uscita dei dipendenti dal mondo del lavoro ricorrendo anche a fondi aziendali, sul modello di quanto è avvenuto nel mondo bancario. Ne ha accennato ieri anche Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali che storicamente ha svolto un ruolo di esperto di previdenza all'interno della Lega. «È un'ipotesi che si sta cercando di percorrere» ha confermato Brambilla, che poi ha criticato in modo piuttosto aspro l'idea del Movimento Cinque Stelle di portare a 780 euro le pensioni minime, come primo passo del percorso verso il reddito di cittadinanza. «Sono totalmente contrario - ha spiegato - io fossi un artigiano, un commerciante, un imprenditore, non verserei più, tanto se poi devo prendere 780 euro». Insomma a suo giudizio il rischio è quello di «spaccare il sistema».
LE RISORSE
Dunque quello della pensione di cittadinanza si presenta come un possibile punto di contrasto tra i due partiti della maggioranza. Quanto alla quota 100, che secondo il leader della Lega Salvini dovrebbe essere applicata a partire da un'età minima di 62 anni, il nodo è quello delle ingenti risorse che sarebbero necessarie per gestire l'operazione. Una somma che a regime potrebbe superare i 10 miliardi l'anno. In questa ottica nascono i ragionamenti su un eventuale contributo delle aziende. Va detto che strumenti del genere esistono già, anche se non molto usati: dalla versione aziendale dell'Ape volontaria che in realtà non ha ancora avuto modo di decollare alla cosiddetta isopensione utilizzata finora in modo limitato solo da alcune grandissime aziende.
Il problema dei fondi per gli esuberi, come quello del settore bancario, è che devono essere finanziati. In questo giorni è stata valutata l'ipotesi di una contribuzione aggiuntiva ad hoc dello 0,3 per cento. In una prima fase naturalmente dovrebbe essere lo Stato a farsi carico dei costi, ma poi nel tempo questi potrebbero essere assorbiti dalle risorse del fondo. Il punto naturalmente è che almeno una parte consistente del mondo imprenditoriale potrebbe digerire male la prospettiva di un incremento del costo del lavoro (pur se limitato) nel momento in cui Confindustria sollecita dal governo una sostanziale riduzione del cuneo fiscale e contributivo. L'alternativa è porre i costi a carico non della generalità del sistema delle imprese ma di quelle che effettivamente hanno esuberi da gestire: in questo caso si tratterebbe di rivedere e affinare gli strumenti già esistenti.
Il dossier pensioni resta dunque delicatissimo e in questa fase si registra anche un certo nervosismo dei sindacati, alcuni dei quali per altro verso - ad esempio sul caso Ilva - qualche apertura di credito al governo l'avevano fatta. Ieri Susanna Camusso, numero uno della Cgil, ha criticato duramente il dibattito in corso su quote ed età e più specificamente, ha criticato l'esecutivo perché starebbe progettando una riforma che «riguarda una piccola parte, fabbriche del Mord, ed una parte della pubblica amministrazione» mentre esclude ad esempio situazioni come quelle dei lavoratori edili.