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Pescara, 24/07/2024
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Data: 18/09/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Regione, si torna alle urne il 10 febbraio. La decisione di Lolli, Francabandera e Di Pangrazio: «Motivi di ragionevolezza e adeguatezza». Ecco il contenuto del decreto. Ma il fronte del no annuncia battaglia legale. Forza Italia prepara il ricorso al Tar. Il M5S aspetta il decreto: il Pd sta giocando con le regole democratiche

L'Abruzzo tornerà al voto domenica 10 febbraio dell'anno prossimo. La decisione è stata presa ieri pomeriggio dal presidente della Corte d'Appello, Fabrizia Francabandera, e dal presidente vicario della giunta regionale, Giovanni Lolli, sentito il parere del presidente del consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio. Con un decreto di 2 pagine le tre figure istituzionali spiegano i motivi della decisione che si riassumono in due parole chiave: ragionevolezza e adeguatezza. Determinanti sono risultati i due pareri legali con cui gli esperti mettono in guardia gli autori della decisione dal rischio di ricorso al tribunale amministrativo da parte dell’elettorato passivo (i potenziali candidati) che, nel caso in cui si fosse scelta una data vicina, a novembre, avrebbe potuto comportare l’annullamento dell’esito dell’elezione. Ma ad avere un peso sostanziale nella decisione ci sono altri due fattori. Il primo è il rispetto delle festività natalizie. Il secondo motivo che ha spinto a fissare le elezioni a febbraio del 2019 è la necessità del riallineamento della prossima legislatura regionale con altri organi elettivi, come i Comuni, in maniera tale da poter andare alla scadenza del quinto anno, più 3 mesi, ad un Election Day preferibile per quanto riguarda il contenimento della spesa pubblica.
CORSI E RICORSI. Dando per scontato che molti partiti insorgeranno per questa scelta, che fissa ad una data relativamente lontana il ritorno alle urne, (vedi l’articolo in basso) cerchiamo di spiegare la decisione presa ieri entrando ancora di più nel merito. Il decreto fa subito riferimento al parere del Servizio legislativo del consiglio regionale basato sull’interpretazione letterale della legge elettorale 51 del 2004 e “individua la data del 19 dicembre quale termine a partire dal quale possono tenersi le elezioni”. E questo perché esiste una reale contraddizione tra la legge del 2004 e una norma più recente del 2013. La prima stabilisce la data delle elezioni mettendo a disposizione dell'elettorato passivo, cioè dei candidati, 120 giorni di tempo dalla pubblicazione del decreto di scioglimento del consiglio regionale sul Burat che è avvenuta il 22 agosto scorso. La seconda invece stabilisce per l'elettorato attivo (gli elettori) 90 giorni di tempo a partire dalle dimissioni del presidente della giunta regionale Luciano D Alfonso che ha optato per il Senato. Il disallineamento tra le due date è evidente.
LE DUE TORRI. Scopriamo però che l’11 settembre scorso è intervenuto anche un secondo organo regionale, cioè l'Avvocatura, che ha rimesso un successivo parere di cui nessuno al di fuori delle tre figure istituzionali che hanno deciso è venuto nel frattempo a sapere. Anche l’Avvocatura regionale “ha ritenuto che l'interpretazione letterale della norma debba essere quella espressa dall’ufficio legislativo della Regione con conseguente fissazione delle elezioni in data successiva al 19 dicembre”. Cioè la prima domenica utile che sarebbe stata il 23 dicembre. Scorrendo il decreto troviamo il motivo sostanziale racchiuso in questa frase: “Il 23 dicembre scongiura il rischio di futuri contenziosi in materia elettorale poiché evita la compressione dell’esercizio del diritto dell’elettorato passivo previsto dalla legge regionale 51 del 2004”. Ma gli step che hanno portato alla decisione del 10 febbraio non sono ancora finiti.
DOPO LA BEFANA. Lolli, Di Pangrazio e Francabandera individuano altre due domeniche utili dopo quella del 23 dicembre e quindi indicano il 30 dicembre e il 6 gennaio come date che però ricadono nel periodo delle festività natalizie. E subito dopo scrivono che occorre invece individuare “una data utile al fine di garantire la più ampia partecipazione alla consultazione elettorale da parte di coloro che possano esercitare il diritto all'elettorato passivo ed attivo” e cioè un giorno “che debba far riferimento ai principi di buon senso, ragionevolezza e adeguatezza e di tutela dei diritti fondamentali del cittadino anche con riferimento ad una tempistica che consenta di superare di qualche tempo le suddette festività”. Così viene scavalcato il 2018 e si passa a un nuovo step della decisione che individui la data ideale. “Una data che consenta altresì la migliore organizzazione possibile dei diversi enti pubblici coinvolti nel procedimento elettorale alla luce della eccezionalità del voto anticipato rispetto alla scadenza naturale prevista dall'ordinamento regionale”.
TUTTI IN LINEA. Qual è dunque la data migliore? Le tre figure istituzionali, a questo punto del decreto, si pongono il problema della necessità di riallineare la undicesima legislatura agli altri organi elettivi “perché tale riallineamento consente il contenimento della spesa pubblica”, come prevede una legge del luglio 2011, ribattezzata Election Day che l'Abruzzo ha recepito con una propria legge nel 2012 e che per questo motivo ha l'obbligo di rispettare. Per farlo, viene scelta una data che, al trascorrere di 5 anni e 3 mesi dal voto delle prossime regionali, permetta di tornare alle urne lo stesso giorno insieme alle comunali. Arriviamo così alla conclusione del provvedimento dove gioca un ruolo importante Di Pangrazio. E' lui infatti a proporre la data del 10 febbraio che il presidente della Corte d'Appello e Lolli accolgono come soluzione ideale per far spendere di meno alla regione Abruzzo, per rispettare il diritto di tutti i cittadini al voto, siano essi elettori attivi o passivi, e soprattutto per scongiurare ricorsi al tribunale amministrativo da parte dei candidati sconfitti alle prossime elezioni regionali. Ma è inevitabile che da oggi si scateni la reazione di tutti quei partiti che, al contrario, avrebbero voluto tornare subito al voto. Magari prima che il governo approvi la prossima finanziaria.

Ma il fronte del no annuncia battaglia legale. Forza Italia prepara il ricorso al Tar. Il M5S aspetta il decreto: il Pd sta giocando con le regole democratiche

PESCARA Non poteva non provocare l'immediata reazione dei partiti di opposizione, la notizia che in Abruzzo si tornerà alle urne a febbraio per eleggere i nuovi vertici regionali. Il primo commento ad arrivare è quello di Mauro Febbo (Fi). «Il 10 febbraio», osserva il consigliere regionale di Forza Italia, «è una data inaccettabile, intollerabile, inopportuna. Faremo ricorso al Tar». A fargli eco è il capogruppo di Fi in Regione, Lorenzo Sospiri. «Ho già chiamato i nostri legali per impugnare dinanzi al Tar la folle scelta della giunta regionale di indire le prossime elezioni regionali per il 10 febbraio. Ritengo tale decisione non condivisibile, non corretta, contraria al bene dell'Abruzzo», dice Sospiri, «e che determinerà un evidente sperpero di denaro pubblico. Il presidente Lolli, con il garbo che lo contraddistingue, mi ha personalmente comunicato la data che cade, peraltro, nel Giorno del Ricordo delle vittime delle Foibe. L'ho ringraziato per la cortesia, l'ho salutato, ma è evidente che sarà battaglia sul profilo legale». Sospiri ha anche annunciato che «a partire dalla scadenza dei 90 giorni dallo scioglimento dell'assise determinata dalle dimissioni dell'ormai ex presidente D'Alfonso, ovvero dal 22 novembre, sino al ritorno alle urne, noi restituiremo i soldi delle indennità, tolte ovviamente le tasse». «Se finora il 10 febbraio era noto come il Giorno del Ricordo, d'ora in poi diventerà anche il giorno della vergogna dell'Abruzzo», aggiunge l'ex parlamentare forzista Fabrizio Di Stefano.E in serata arriva anche la presa di posizione del Movimento Cinque Stelle, con la consigliera regionale, Sara Marcozzi, candidata alle regionale, che non ha affatto gradito la scelta di allungare così tanto l'attesa per il ritorno alle urne. «Il Pd sta giocando con le regole base che fondano la democrazia. È inaccettabile», dice la pentastellata, «la scelta del Pd di tornare alle urne nel 2019, a un anno dall'incompatibilità e a sei mesi dalle dimissioni del presidente D'Alfonso. Lo statuto e le leggi regionali in combinato disposto prevedono che, in caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, il ritorno al voto debba essere garantito entro tre mesi dalle dimissioni del Presidente della Giunta regionale. Il Pd ha, come al solito, "stirato" le leggi al solo fine di allontanare quanto più possibile la sicura debacle che li attende alle urne. Attendiamo la pubblicazione del decreto, sarà interessante capire le motivazioni che hanno ispirato i decisori su tale scelta e anticipiamo che valuteremo insieme ai nostri legali se siano stati rispettati tutti i dettami normativi». Il M5S era intervenuto a più riprese sul tema della data del voto, spiegando che una scelta «che avrebbe posticipato di troppo la data di ritorno alle urne avrebbe aperto diversi fronti di crisi, sia a livello amministrativo che relativamente alle scelte programmatiche e strategiche per la nostra regione».

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