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Data: 18/09/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Manovra, piano anti-sprechi e riduzione dei ticket sanitari. Pensioni alte, la soglia del taglio sale a 4.500 Con l'uscita a 62 anni riecco le finestre

ROMA Il dossier è stato messo nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte proprio nel giorno del super vertice sui conti convocato ieri a Palazzo Chigi con il ministro dell'Economia, Giuseppe Tria, i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi di Maio, e il ministro delle Politiche comunitarie Paolo Savona. Sul tavolo della manovra, in attesa di trovare una quadra su tutti gli altri dossier, dal reddito di cittadinanza alla pace fiscale, entra ufficialmente nel menù anche il taglio dei ticket sanitari. Il vertice di ieri è stato ancora interlocutorio. Matteo Salvini ha parlato di «vertice proficuo», che avrebbe portato alla conferma di tutti gli impegni presi: «pensioni, tasse e reddito di cittadinanza». Di Maio gli ha fatto eco annunciando «scelte coraggiose». I tecnici dei due schieramenti, ha spiegato Salvini, sono a lavoro per tagliare gli sprechi («e le regalie di Renzi») e per le riforme. L'obiettivo sarebbe di recuperare almeno tre miliardi di euro per questa strada e contenere l'aumento del deficit. Nel mirino ci sarebbero anche una serie di enti considerati inutili. Tria, comunque, avrebbe insistito sulla necessità di indicare un deficit non superiore all'1,6-1,7% e con Lega e Cinque Stelle che, invece, spingono per portare l'asticella fino al 2,1-2,2% per finanziare le promesse elettorali. Alle quali si aggiunge anche la richiesta del ministro della Salute Giulia Grillo. Una richiesta che si inserisce in un piano decisamente più corposo, che punta anche su maggiori risorse per il personale finalizzate al rinnovo del contratto dei medici e al progressivo sblocco del turn over, e investimenti per l'edilizia sanitaria e per l'ammodernamento tecnologico. Ma il piatto principale resta la possibile riduzione del balzello pagato dai cittadini per le visite specialistiche e per i farmaci. In Italia esistono due tipi di ticket: uno statale, denominato «superticket» comune a tutti i cittadini, e un altro stabilito regione per regione. Il primo, di 10 euro a prestazione, è già stato ridotto dal precedente governo con uno stanziamento di 60 milioni di euro. Tagliare il secondo è, in realtà, una decisione che spetta alle singole regioni, anche se l'idea del ministero della Salute sarebbe quella di emanare delle linee guida indirizzate ai governatori per rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale l'applicazione del balzello. Il presupposto per ridurre il ticket, tuttavia, è garantire nuove risorse al sistema sanitario. Per il prossimo anno, a legislazione vigente, la dotazione del fondo sanitario nazionale salirà a 114 miliardi dai 113 miliardi di quest'anno. Il Movimento Cinque Stelle si è da tempo dato come obiettivo quello di incrementare le risorse del Fondo sanitario. L'intenzione sarebbe quella di portarlo fino a 115 miliardi. Il taglio dei ticket, tuttavia, potrebbe essere finanziato per altre strade. Una delle ipotesi che circola è quella di una «razionalizzazione» delle detrazioni dei premi versati alle assicurazioni sanitarie. Per ora soltanto una ipotesi. Come alcune ipotesi ci sono sul tavolo anche per tagliare le liste di attesa. In questo caso nel mirino ci sarebbero le visite intramoenia, quelle fatte in regime privato dagli stessi medici degli ospedali pubblici. L'intenzione sarebbe di evitare squilibri, soprattutto sui tempi, tra le visite in regime pubblico e quelle in regime privato.
LA POSIZIONE
Ieri è stato lo stesso premier Conte a spezzare una lancia a favore del dossier Sanità, sottolineando però che «ci vogliono i soldi. Abbiamo la consapevolezza», ha aggiunto il premier, «ad esempio di quella che è la spesa sanitaria che grava direttamente sui privati. In Italia siamo intorno al 20% della spesa complessiva, quando invece il livello che raccomanda l'Organizzazione mondiale della Sanità è del 15». Su questo fronte, ha aggiunto ancora, «la ministra Grillo sta lavorando alla riduzione di alcuni ticket sia per quanto riguarda i farmaci sia per le visite specialistiche».

Pensioni alte, la soglia del taglio sale a 4.500 Con l'uscita a 62 anni riecco le finestre

ROMA Sulla previdenza sono almeno tre i dossier caldi che il governo deve mettere a punto in vista della legge di Bilancio: si va dall'aumento delle minime a 780 euro (primo passo verso il reddito di cittadinanza) all'uscita anticipata con quota 100, passando per l'intervento sulle pensioni alte. Su questo ultimo nodo ieri è emerso un compromesso tra Lega e M5S, che pure avevano firmato insieme - con i rispettivi capi gruppo alla Camera - la proposta di legge annunciata già a inizio agosto. Nella nuova versione resta il meccanismo che lega la decurtazione dell'assegno all'età di pensionamento effettiva, ma la soglia di reddito al di sopra della quale scatta la tagliola sale da 80 mila a 90 mila euro lordi. Ovvero in termini netti mensili, secondo quanto annunciato dal capogruppo pentastellato Francesco d'Uva, 4.500 euro invece che 4.000; anche se in realtà applicando pure le addizionali Irpef di Regione e Comune il netto risulta un po' più basso (intorno ai 4.200-4.300). Resta il nodo della penalizzazione per le categorie (donne, militari, manager in esubero) che per legge o per altri motivi erano stati costretti a lasciare l'attività lavorativa prima dell'età di riferimento, ovvero quella attuale della vecchiaia corretta all'indietro in base agli andamenti demografici.
L'OPERAZIONE
Per chi invece in pensione ci deve ancora andare il capitolo più atteso è quello che riguarda l'uscita anticipata. Si continua a lavorare all'ipotesi di una quota 100 (somma tra età e contributi) con età minima fissata a 62 anni. Secondo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (Lega) l'operazione costerebbe dai 6 agli 8 miliardi, ovvero circa la metà di quanto stimato dall'Inps per quota 100 senza vincoli, nella quale valga ad esempio anche la combinazione 60+40. Molto dipenderà dai dettagli della misura, ad esempio la possibilità di utilizzare o no anche la contribuzione figurativa. Per limitare il costo dell'operazione si stanno studiando alcune opzioni tecniche, tra cui anche il ripristino delle finestre previste dalla normativa ante-riforma Fornero. Fino al 2011 infatti le regole prevedevano un periodo di attesa tra la maturazione del diritto alla pensione e l'uscita effettiva, che in un primo tempo era di pochi mesi e poi era stato allungato fino ad un anno (uno e mezzo per i lavoratori autonomi). Con questo escamotage nel caso dei 62 anni il lavoratore accederebbe concretamente alla pensione intorno ai 63, ferma restando l'opzione di lasciare il lavoro prima con la certezza di aver conseguito il diritto. Sarebbe uno scenario in qualche modo confrontabile con quello dell'attuale Ape social che scatta a 63 anni pur se per una platea limitata e con requisito contributivo più basso. Tra l'altro l'uscita a 62 anni avrebbe verosimilmente l'effetto di raddoppiare la schiera dei dipendenti pubblici pensionabili nel 2019, che attualmente è calcolata in 150 mila persone.
IL PRIMO PASSO
Infine c'è il capitolo pensione di cittadinanza, cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle che intende presentarla come primo passo verso il promesso reddito minimo. «Non ci deve essere più nessun pensionato che prende meno di 780 euro» ha sintetizzato ieri il vicepremier Di Maio. Attualmente la minima (percepita da chi ha comunque versato un po' di contributi) è fissata a 507 euro mensili mentre l'assegno sociale si ferma a 453. L'idea è arrivare alla soglia promessa assorbendo tutte le attuali maggiorazioni, compresa la quattordicesima voluta dai governi di centro-sinistra.

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