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Data: 20/09/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni alte, nella legge c'è il taglio anche per quelle degli ex sindacalisti

ROMA Un breve articolo inserito alla fine del provvedimento, che però può avere conseguenze rilevanti per una particolare categoria di pensionati: quelli che hanno svolto per molto tempo l'attività di sindacalisti. La norma ha fatto la sua comparsa nella versione ufficiale della proposta di legge sulle pensioni alte, depositata in commissione Lavoro della Camera. Non c'era invece nelle bozze che circolavano all'inizio di agosto, quando il testo firmato (tra gli altri) dai capigruppo di M5S e Lega D'Uva e Molinari era stato annunciato.
OBIETTIVO CONFERMATO
L'obiettivo confermato dell'operazione è ricalcolare le pensioni superiori a 80 mila euro lordi l'anno (circa 4.200-4.300 netti al mese) non però sulla base dei contributi effettivamente versati, ma piuttosto dell'età a cui si è effettivamente lasciato il lavoro. Uno schema che penalizza categorie come le donne, i militari o i manager esodati che per legge o altri motivi nel passato andavano comunque in pensione prima degli altri. La stretta dovrà essere applicata anche dagli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, a partire quindi da Camera e Senato.
Molto più specifica è invece la novità che riguarda i sindacalisti: si tratta di una norma di interpretazione autentica che di fatto va a correggere una situazione già segnalata tempo fa dall'Inps di Tito Boeri nell'ambito dell'operazione Porte aperte. Il nodo è la contribuzione aggiuntiva che può essere versata dalle organizzazioni sindacali per conto dei lavoratori che si trovano in distacco o in aspettativa proprio per prestare il proprio servizio nel sindacato. Questi contributi si aggiungono a quelli figurativi, posti a carico della gestione previdenziale e quindi in definitiva dello Stato, oppure a quelli versati dal datore di lavoro (in caso di distacco). Ma l'effetto sulla futura pensione risulta decisamente favorevole per gli interessati, grazie all'interpretazione di favore utilizzata finora che di fatto scavalca la riforma Amato del 1992: quella legge aboliva nel calcolo retributivo la possibilità di determinare l'assegno previdenziale sulla base della retribuzione dell'ultimo giorno di lavoro, introducendo una quota B calcolata invece sulla media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni. Il punto è che i sindacalisti e solo loro hanno invece avuto la possibilità di usare la contribuzione aggiuntiva sulla vecchia e più favorevole quota A, ottenendo così un significativo incremento della pensione.
IL BENEFICIO
L'istituto aveva anche calcolato il beneficio su una serie di casi concreti. Ipotizzando di dirottare i contributi in più sulla quota B invece che sulla quota A si avrebbero riduzioni dell'assegno che vanno dal 16 al 66 per cento. Proprio quello che si propone di fare la norma inserita nella proposta di legge D'Uva-Molinari. Trattandosi di interpretazione autentica, e non di una vera e propria novità legislativa, la decurtazione potrebbe essere applicata anche per il passato, ovvero non solo per la rate di pensione future ma anche per quelle già percepite. Che quindi dovrebbero essere restituite.

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