Alle 10.30 di lunedì mattina, tre operai trasportano una lunga scala fuori dall’Aula deserta. Un gruppetto di visitatori sosta sul marmo siciliano e viene edotto della lite tra Innocenzo X e il Principe Niccolò Ludovisi che rallentò la costruzione di Montecitorio. In buvette, tre commessi in attesa. Qualcuno nell’aula dei giornali si assopisce su una poltrona. Nulla di anormale, è il deserto abituale dei lunedì di Montecitorio. Se non fosse che ormai il Parlamento lavora al ralenti tutta la settimana. Dopo le ferie estive quasi record (35 giorni), le statistiche di legislatura (paralizzata per tre mesi dalla formazione del governo) registrano un crollo dei provvedimenti, delle sedute, dei disegni di legge. Questa settimana niente Aula, solo giovedì per tre mozioni delle opposizioni, che protestano. Nell’aria aleggia il ricordo dell’insofferenza contro l’intermediazione parlamentare di George Sorel, che portò alla deriva dell’«aula sorda e grigia». La profezia di Davide Casaleggio: «In futuro il Parlamento sarà inutile». Le parole di Giancarlo Giorgetti: «Il Parlamento non conta più nulla». Le suggestioni di Beppe Grillo sulla demarchia: «Sorteggiamo i parlamentari».
L’Aula e le commissioni
Riccardo Fraccaro, ministro dei rapporti per il Parlamento, spiega a Lanfranco Palazzolo, il cronista di Radio Radicale che presidia il territorio ben più dei deputati: «Non è vero che lavoriamo poco. Stanno arrivando la riduzione del numero dei parlamentari, che farà risparmiare 100 milioni all’anno, e la riforma del referendum propositivo». Più democrazia diretta, meno parlamentari. Il leghista Marco Maggioni nega: «Abbiamo fatto tanto, con i decreti Bari, Dignità e Milleproroghe. E lavoriamo tanto in Commissione». Qui c’è una prima chiave. Se l’Aula è vuota, non vuole dire che il Parlamento non funzioni. «È un immaginario sbagliato», spiega Federico Fornaro, capogruppo Leu. Conferma Pino Pisicchio, veterano e studioso: «In Aula spesso si va per mozioni e ordini del giorno inutili, che non vincolano il governo e consentono ai peones di scattarsi selfie. Negli anni ’80, se ne approvavano 10-12 al mese, ora siamo a 250 al mese». C’è un altro dato: «In passato le leggi di iniziativa parlamentare erano pari a quelle governative. Ora queste ultime arrivano fino al 90 per cento». Perché? «Prima, con le preferenze, i parlamentari rispondevano al popolo. Ora al capo partito, che decide tutto». Il sogno che raccontò una volta Silvio Berlusconi: un Parlamento «cinese», con il capogruppo che vota per tutti.
Roberto Fico promette la riduzione dei decreti d’urgenza e una riforma dei regolamenti: «L’obiettivo è la qualità del lavoro, per questo credo che le commissioni debbano avere molto più tempo per esaminare i provvedimenti». Fornaro chiede più efficienza e uno statuto delle opposizioni: «Serve un Parlamento che funzioni, altrimenti si alimenta il sospetto che si voglia farlo diventare inutile».
L’ex parlamentare
Su un divanetto c’è un signore di 80 anni, che Giorgio Bocca descriveva così: «L’onestà e il coraggio gli splendono negli occhi, nel viso. A guardarlo mi si stringe il cuore». È Giuseppe Lavorato, già sindaco antimafia e parlamentare calabrese comunista, tra il 1987 e il ’92: «Non sono un nostalgico. Nel Pci avevamo il centralismo democratico, è vero, ma si discuteva sempre e l’opinione di tutti contava. Ricordo la rivolta dei trenta, guidati da Ingrao, contro la guerra in Iraq. Adesso i deputati contano poco, il declino del Parlamento è profondo».