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Pescara, 24/11/2024
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Data: 25/09/2018
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Manovra: in pensione prima dei 67 anni ma con la «penalizzazione». Riduzione tra l’1 e l’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67. Possibili penalizzazioni sulle deducibilità per banche e assicurazioni

Settimana clou per la manovra. Oggi si riunisce il Consiglio dei ministri e, anche se l’argomento non è all’ordine del giorno, è possibile che a margine il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, discuta col ministro dell’Economia, Giovanni Tria, e i vicepremier Di Maio e Salvini della Nota di aggiornamento al Def, il Documento di economia e finanza, che lo stesso governo approverà entro giovedì. Il Def conterrà le nuove stime di crescita del Pil (corrette al ribasso) e gli obiettivi di deficit e debito, cioè la cornice della legge di Bilancio 2019, che sarà varata entro metà ottobre e si aggirerà sui 25-30 miliardi. Spuntano intanto le penalizzazioni sulle pensioni: taglio dell’1-1,5% per ogni anno di anticipo rispetto a 67 anni.

Età minima al limite di 62 e 37 di contributi

La riforma delle pensioni per consentire l’uscita anticipata dal lavoro rispetto ai requisiti 2019 (67 anni d’età con 20 anni di contributi oppure 43 anni e 3 mesi di contributi indipendentemente dall’età, un anno in meno per le donne) sarà attuata con la formula di «quota 100». Per andare in pensione basterà che la somma fra età e contributi faccia appunto 100, ma con alcuni limiti: l’età minima dovrà essere di 62 anni mentre gli anni di contributi non meno di 36 (o 37). In altri termini quota 100 si articolerebbe su tre combinazioni: 62+38; 63+37; 64+36. Se quindi si volesse andare a 65 anni, servirebbero sempre 36 anni di versamenti all’Inps. La riforma consentirebbe a una platea potenziale di 433 mila lavoratori di andare in pensione nel 2019, per un costo di 8,6 miliardi.

Il metodo contributivo dal 1995 a seguire

Sono allo studio tre ipotesi per ridurre il costo della riforma a «quota 100». Riduzione necessaria sia perché nel programma di governo si prevede una spesa di 5 miliardi l’anno e sia perché più si aumenta lo stanziamento per le pensioni, accontentando la Lega, più si dovrà incrementare la spesa per il reddito di cittadinanza, caro ai 5 Stelle. La prima ipotesi per tagliare il costo di «quota cento» prevede che la pensione anticipata venga calcolata col meno vantaggioso metodo contributivo per tutti i versamenti successivi al 1995, quando fu appunto introdotto il nuovo sistema. In questo modo l’importo della pensione si ridurrebbe, secondo i casi, anche del 10-15%. Si prevede inoltre di poter conteggiare non più di due anni di contributi figurativi.

Il metodo contributivo dal 1995 a seguire

Sono allo studio tre ipotesi per ridurre il costo della riforma a «quota 100». Riduzione necessaria sia perché nel programma di governo si prevede una spesa di 5 miliardi l’anno e sia perché più si aumenta lo stanziamento per le pensioni, accontentando la Lega, più si dovrà incrementare la spesa per il reddito di cittadinanza, caro ai 5 Stelle. La prima ipotesi per tagliare il costo di «quota cento» prevede che la pensione anticipata venga calcolata col meno vantaggioso metodo contributivo per tutti i versamenti successivi al 1995, quando fu appunto introdotto il nuovo sistema. In questo modo l’importo della pensione si ridurrebbe, secondo i casi, anche del 10-15%. Si prevede inoltre di poter conteggiare non più di due anni di contributi figurativi.

L’iter tortuoso per mantenere le promesse

La Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che il Consiglio dei ministri approverà entro la settimana dovrà indicare, oltre ai tetti di deficit e debito, anche che cosa il governo intende fare per attuare le promesse del programma sottoscritto da 5 stelle e Lega, in particolare sulla flat tax, «quota 100» sulle pensioni e reddito di cittadinanza. Fra il ministero dell’Economia (Mef) e i due alleati di governo la tensione è salita dopo l’attacco e gli insulti ai vertici tecnici del Mef da parte di Rocco Casalino, portavoce del presidente del Consiglio. Ma le tensioni c’erano anche prima. Soprattutto coi 5 Stelle, che accusano il Mef di non trovare i 10 miliardi necessari per il reddito di cittadinanza. Pesa, inoltre, il fatto che Tria non abbia ancora assegnato le deleghe ai sottosegretari né nominato, come previsto, i due vice ministri, uno per i 5 Stelle, Laura Castelli e uno per la Lega, Massimo Garavaglia.

I 10 miliardi per il reddito di cittadinanza

Il nodo più delicato da sciogliere resta il reddito di cittadinanza, prioritario per i 5 Stelle. Che vorrebbero dal primo gennaio aumentare le pensioni minime a 780 euro al mese (pensione di cittadinanza) e poi, da marzo, cioè prima delle elezioni europee, erogare l’assegno che integra il reddito di poveri e disoccupati senza altri redditi fino appunto a 780 euro. Per fare questo il movimento chiede 10 miliardi per il 2019. Si tratterebbe infatti di coprire una platea di oltre 6 milioni di persone, inclusi i pensionati. Per coprire la spesa si potrebbe far affidamento sul Rei, il reddito d’inclusione per i poveri varato per il quale sono già stanziati 2,5 miliardi per il 2019 e sul riordino delle altri voci destinate all’assistenza. I 5 stelle propongono anche il taglio della deducibilità degli interessi passivi per banche e assicurazioni, il taglio delle agevolazioni per i settori che inquinano e l’aumento delle royalties sull’estrazione di petrolio.



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