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Data: 02/10/2018
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Pensioni, la sfida di quota 100. Ritirarsi dal lavoro (senza la penalità). Circola l’ipotesi di bloccare il prossimo adeguamento dei requisiti vigenti alla speranza di vita. Alla fine il ministro dell’Economia ha ceduto anche sulle pensioni

Alla fine il ministro dell’Economia ha ceduto anche sulle pensioni. Fino all’ultimo aveva cercato strade alternative alla modifica dei requisiti di legge che, con varie riforme, sono stati via via aumentati nell’ultimo decennio e agganciati alla speranza di vita, tanto da essere considerati dalla Commissione Ue la vera assicurazione sulla sostenibilità di medio-lungo periodo dei conti pubblici italiani.

Giovanni Tria avrebbe preferito lasciare formalmente intatta la soglia dei 67 anni e articolare un sistema di deroghe che consentisse di anticipare il pensionamento ai lavoratori più in difficoltà: in pratica, la platea già coperta dall’Ape sociale più gli esuberi nelle aziende in crisi. E invece ha dovuto cedere su tutta la linea alle richieste di Lega e M5s, tanto che con la manovra conseguente all’approvazione, giovedì scorso, della Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) verrà introdotta non solo «quota 100», cioè un meccanismo che consentirà dal prossimo anno a tutti i lavoratori di andare in pensione a 62 anni d’età, se hanno almeno 38 anni di contributi(la somma fa appunto 100), ma circola anche l’ipotesi di bloccare il prossimo adeguamento dei requisiti vigenti alla speranza di vita.


Sarà congelato lo scatto a 67 anni?
Il responso arriverà con la legge di Bilancio, ma se questa ipotesi dovesse passare,significa che dal primo gennaio 2019 non scatterebbero più i 5 mesi di aumento già decisi e quindi resterebbero le soglie attuali: cioè 66 anni e 7 mesi d’età(con 20 anni di contributi)per la pensione di vecchiaia e 42 anni e 10 mesi di contributi(un anno in meno per le donne) per la pensione anticipata, quella che si prende indipendentemente dall’età. In altri termini,i lavoratori che non raggiungessero «quota 100»(38 anni di contributi sono tanti)potrebbero comunque uscire 5 mesi prima dei 67 anni. Stesso discorso vale anche per chi accede alla pensione anticipata,tanto più che il governo non pare più intenzionato a ridurre a 41 il requisito contributivo, come promesso.

La quota 100
Prima della Nota di aggiornamento al Def, circolava l’ipotesi di una «quota 100» articolata su diverse combinazioni d’età e di contributi, fino a quella più generosa che avrebbe consentito l’uscita dal lavoro anche con 36 anni di servizio(e 64 d’età). Ma ora si studia solo la combinazione 62 anni d’età più 38 di contributi. Significa che chi volesse uscire avendo più di 62 anni dovrebbe comunque avere almeno 38 anni di versamenti, quindi: 63+38, quota 101; 64+38, quota 102; 65+38, quota 103; 66+38, quota 104. Questo sistema permetterebbe a circa 400mila lavoratori in più all’anno di andare in pensione dal 2019 in poi e costerebbe tra 8 e 8,5 miliardi il primo anno e circa un miliardo in più negli anni successivi. Le altre combinazioni possibili (63+37; 64+36)sono state scartate perché i costi sarebbero aumentati troppo.

Il ricambio generazionale
In compenso, sottolinea il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon (Lega), «chi andrà in pensione con quota 100 non subirà alcuna penalizzazione». Sono state cioè scartate le ipotesi di un calcolo contributivo a partire dai versamenti successivi al 1995 così come l’idea di un taglio dell’assegno di 1-1,5% per ogni anno di anticipo rispetto a 67 anni. Questo perché, spiega Durigon, l’obiettivo di quota 100 è «favorire il ricambio generazionale nei luoghi di lavoro». Il governo cioè vuole che tutti i potenziali beneficiari della riforma vadano in pensione prima affinché al loro posto siano assunti giovani. Una scommessa tutta da verificare. «Di sicuro nel pubblico impiego, dove usciranno circa 150mila persone in più ogni anno, le assunzioni ci saranno — dice il sottosegretario —. Nel privato, confidiamo che le aziende troveranno conveniente assumere giovani che hanno un costo inferiore rispetto ai lavoratori anziani».

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