ROMA L'ultimo nodo da sciogliere è se la domanda potrà essere presentata dal prossimo mese di gennaio, come vorrebbe Matteo Salvini, oppure bisognerà aspettare un po', al massimo fino a marzo. Ma dal prossimo anno chi ha maturato 38 anni di contributi e ha compiuto 62 anni, potrà lasciare il lavoro. E potrà farlo senza che l'importo della pensione ne risenta in alcun modo. Dunque non ci sarà il taglio dell'1,5% dell'assegno per ogni anno di anticipo rispetto all'attuale età di ritiro (66 anni e 7 mesi). Non ci sarà nemmeno il ricalcolo contributivo dell'assegno a partire dal 1996, che avrebbe tagliato l'importo di una percentuale tra il 10 e il 15%. E non ci sarà nessun tetto nemmeno ai contributi figurativi accumulati durante gli anni di lavoro. Significa che potranno usare lo scivolo anche coloro che nella vita lavorativa hanno dei «buchi» dovuti, per esempio, a dei periodi di cassa integrazione. L'unico paletto che sarà inserito è che i 38 anni dovranno essere maturati qualunque sia l'età di ritiro. Dunque quota 100 sarà tale soltanto a 62 anni, perché a 63 anni diventerà 101, a 64 salirà a 102 e così via.
IL RICAMBIO
«Grazie a questa riforma», spiega il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, «il prossimo anno andranno in pensione 400 mila persone». L'idea del governo è che le aziende assumano almeno un giovane per ogni due lavoratori in uscita. Si creerebbero in poco tempo 200 mila posti di lavoro. Stime che, però, hanno lasciato ieri scettico il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. «La riforma costituirà un input positivo per le aziende», ha ribadito però Durigon. «L'interscambio generazionale assicurato con le nuove norme e l'alleggerimento dei costi, che un lavoratore di una certa età ha, infatti, sicuramente sarà un aiuto per le imprese», ha aggiunto, ricordando come, d'altra parte «il tasso di disoccupazione giovanile è ormai clamoroso, il peggio in Europa, superiore solo a quello della Grecia. Un intervento», è la conclusione, «dovevamo farlo».
Tra le altre novità previste dal progetto al quale sta lavorando lo stesso Durigon con gli altri tecnici del governo, c'è anche il blocco dell'adeguamento automatico dell'età di pensionamento alla speranza di vita. Il prossimo anno, il 2019, l'età di vecchiaia sarebbe passata da 66 anni e 7 mesi a 67 anni, e quella di anzianità da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 3 mesi. Questo scatto no ci sarà. Ma le età della Fornero, ossia i 66 anni e 7 mesi, rimarranno in vigore come un limite superiore al pensionamento (e per le pensioni di vecchiaia). Così come rimarranno bloccati i 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per uscire dal lavoro (non ci sarà per ora l'abbassamento a 41 anni come previsto dal contratto di programma).
«In vigore però», spiega ancora Durigon, «resteranno anche altri istituti: l'Ape sociale sarà stabilizzata e anche la cosiddetta opzione donna, che permette di uscire a 57 anni con il ricalcolo contributivo, resterà in vigore».
LE COPERTURE
Quanto costeranno queste misure? Secondo le simulazioni effettuate, serviranno 7,3 miliardi di euro il primo anno, che saliranno a oltre 8 miliardi dal secondo anno e negli anni successivi. Soldi che saranno stanziati in un fondo unico che servirà a finanziare tutte le misure previste dal contratto di programma. Fondo sul quale ieri si è aperto un giallo. Dalle prime indicazioni era emerso come la dotazione fosse di 16 miliardi complessivi, con i Cinque Stelle che ne reclamavano 10 per le loro misure, lasciando alla Lega i restanti sei. In serata, dopo che stavano iniziando a montare le polemiche, le stesse fonti hanno fatto filtrare che, in realtà, il soldi a disposizione erano 20 miliardi. Segno che non tutto è ancora chiarito tra le forze di maggioranza.