ROMA Costi salatissimi, insostenibili, che «rischiano di minare alle basi la solidità del nostro sistema previdenziale». L'audizione alla Camera del presidente dell'Inps Tito Boeri, non delude chi attendeva fuoco e fiamme: tabelle e calcoli alla mano, quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) è bocciata senza appello dal presidente dell'Inps. La misura, insieme con lo stop all'adeguamento della speranza di vita per le pensioni anticipate, peserà sul debito pensionistico, e quindi sulle spalle delle generazioni future, almeno per cento miliardi di euro. Soltanto nel 2019 la spesa sarà pari a otto miliardi e mezzo, che diventano sedici nel triennio, un punto di Pil. Costi che nemmeno le ottimistiche previsioni del governo - che mette in conto un nuovo assunto per ogni nuovo pensionato - eviteranno di abbattersi sui conti del sistema come una clava. La spesa aumenterà e le entrate contributive caleranno: «Non bastano due giovani neo assunti per pagare la pensione di uno che esce» dice Boeri.
Un'analisi tecnica, che però il governo interpreta come un affronto personale. E così la replica del vicepremier Matteo Salvini è immediata e perfettamente nel suo stile, ovvero durissima: «Invito il dottor Boeri, che anche oggi difende la sua amata legge Fornero, a dimettersi dalla presidenza dell'Inps e a presentarsi alle prossime elezioni chiedendo il voto per mandare la gente in pensione a 80 anni». Poco dopo si fanno sentire anche i deputati pentastellati delle commissioni Lavoro e Bilancio: «Boeri deve rassegnarsi: l'indirizzo politico del governo lo decidono i cittadini, non un organismo tecnico come quello che presiede. Quota 100 verrà introdotta».
DONNE TRADITE
Le critiche di Boeri non riguardano solo i costi della misura. C'è anche una questione di genere: le donne - spiega il numero uno Inps - saranno due volte penalizzate da quota 100, soprattutto quelle che negli anni scorsi hanno accettato di andare in pensione con lopzione donna, che comporta il ricalcolo dell'assegno interamente con il metodo contributivo. Le donne «si vedranno tradite perché non solo saranno in poche a poter accedere a quote 100» per via di un percorso contributivo meno regolare, ma «saranno state anche beffate dal fatto che le si è spinte ad accettare la formula di opzione donna con un taglio molto consistente della pensione mentre gli uomini riceveranno un assegno pieno».
Sono proprio gli uomini, infatti, i principali beneficiari della misura, addirittura il 90% della potenziale platea di 400.000 persone. In pratica ogni 10 pensionati con quota 100, 9 saranno uomini. «Si tratta nel 40% dei casi di dipendenti pubblici che in 1 caso su 5 hanno trattamenti superiori ai 35.000 euro all'anno, e in 1 caso su 10 superiore ai 40.000 euro», elenca Boeri. Anche sul taglio alle pensioni d'oro, quelle superiori ai 90.000 euro, i calcoli di Boeri sono meno ottimistici di quelli del governo: la misura (con un taglio dell'assegno tra l'8% e il 23%) interesserà una platea di 30.000 persone (95% uomini) e i risparmi saranno minimi, appena 150 milioni di euro l'anno. Una cifra - avverte Boeri - che si può raggiungere solo se il taglio riguarderà l'intero reddito pensionistico del soggetto (che potrebbe avere più di una pensione). Nonostante l'impatto finanziario limitato, comunque, secondo Boeri, l'intervento sulle pensioni di privilegio ha un «impatto equitativo importante». E «una operazione che riduce le iniquità, vale di per sè e rafforza il patto generazionale».
Al fianco di Boeri si è schierata l'intera opposizione. «Più che il governo del cambiamento questo mi sembra il governo del mobbing» ha detto l'azzurra Mara Carfagna riferendosi alla richiesta di dimissioni avanzata da Salvini. «Questa riforma - ha commentato Chiara Gribaudo, responsabile Lavoro del Pd - è una bomba a orologeria che fra pochi anni potrebbe costringerci a una riforma due volte più dura della Fornero». A difendere Boeri anche Carlo Cottarelli, incaricato premier per qualche giorno prima che si sbloccasse il governo Conte: «Nel suo ruolo, Boeri deve dire quello che pensa».
Assegni alti, arrivano le deroghe ai tagli Per uscire a 62 anni tornano le finestre
ROMA Molti pensionati che percepiscono assegni al di sopra dei 90 mila euro lordi l'anno potrebbero essere esentati dal taglio voluto dal Movimento Cinque Stelle. Il disegno di legge che prevede per questi trattamenti una decurtazione proporzionale all'età alla quale si è lasciato il lavoro è all'esame della Camera, ma si lavora ad una nuova versione della norma che potrebbe anche essere travasata nel decreto fiscale che il governo sta preparando. La novità starebbe nell'esenzione di tutte quelle persone che hanno dovuto lasciare la propria attività non per scelta personale ma in forza di una disposizione di legge. Si trovano in questa posizione le lavoratrici, per le quali fino agli anni Ottanta l'età della pensione era fissata a 55 anni, limite poi portato a 60, ma anche i militari e gli appartenenti alle forze di polizia che avevano e hanno tuttora età ordinamentali più basse di quelle previste per il pensionamento della generalità dei lavoratori.
I DUBBI
In questo modo verrebbero superati i dubbi sulla possibile costituzionalità del provvedimento, ma allo stesso tempo verrebbe a ridursi in modo sensibile la platea degli interessati. Il meccanismo contenuto nel disegno di legge fissa infatti un'età di riferimento parametrata sull'attuale soglia di vecchiaia e proiettata all'indietro nel tempo sulla base degli andamenti demografici. Si arriva così fino agli anni Settanta: per coloro che hanno sono andati in pensione in quel periodo, e continuano a percepire l'assegno, l'età limite è fissata a 63 anni. La soglia poi risale gradualmente, e tutti quelli che sono usciti prima si vedrebbero tagliare l'assegno di un importo pari a circa il 2 per cento per ogni anno di anticipo. Uno schema che ha scatenato le proteste dei pensionati che appunto sono andati a riposo per legge e non di propria iniziativa. Se il paracadute fosse applicato con questa ampiezza, ad essere penalizzati rimarrebbero solo coloro che hanno lasciato il lavoro per un accordo con il datore di lavoro, più o meno volontario, in caso di crisi aziendale o in altre situazioni: rientrano in questa categoria i cosiddetti esodati. Resta da vedere se questa soluzione risulterà soddisfacente per i Cinque Stelle; e ci sono anche dubbi sull'opportunità di inserire queste norme in un testo che tratta materie differenti, come appunto il decreto fiscale.
Intanto si continua a lavorare sul pacchetto previdenza che dovrà essere inserito nella legge di Bilancio. È confermato l'impianto di quota 100, che permetterà di accedere alla pensione a coloro che hanno almeno 62 anni di età e 38 di anzianità contributiva. Il costo della misura è stato quantificato in circa 7 miliardi di euro. Per contenere l'impatto finanziario iniziale si valuta la possibilità di reinserire il meccanismo delle finestre di uscita che era in vigore prima della riforma Fornero: in pratica il lavoratore matura il diritto alla pensione al conseguimento dei requisiti, ma può accedervi effettivamente solo dopo un certo periodo di tempo. Fino al 2011, questa attesa era piuttosto lunga, un anno per i lavoratori dipendenti e un anno e mezzo per gli autonomi. Stavolta potrebbe trattarsi di un tempo più breve, tre mesi che consentirebbero di spostare in avanti fino ad aprile l'avvio delle misure; in parallelo con il reddito di cittadinanza il cui debutto potrebbe avvenire ugualmente dopo tre mesi, che sarebbero impiegati per rendere più efficiente il sistema dei centri per l'impiego.
IL NODO
Resta ancora da sciogliere il nodo dell'adeguamento dei requisiti per la pensione all'aspettativa di vita. Il governo è orientato a cancellarlo per quanto riguarda i trattamenti anticipati: il requisito di 42 anni e 10 mesi (uno in meno per le lavoratrici) che dal 2019 doveva essere incrementato di cinque mesi, resterebbe invece fermo. Molto più complesso e costoso sarebbe cancellare l'adeguamento demografico per quanto riguarda la pensione di vecchiaia: su questo principio, introdotto già nel 2009-2010 e poi confermato con la riforma Fornero, si basa la sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale italiano. Il nodo è quindi ancora oggetto di valutazione.