ROMA «Non ci sono ancora le condizioni politiche». La riflessione nella maggioranza sulla manovra è solo all'inizio. Giovanni Tria ha allargato le braccia al termine del consiglio dei ministri di sabato che ha respinto la proposta del ministro dell'Economia di abbassare al 2,1% il rapporto deficit-pil. Tria avrebbe voluto poter disporre di un gesto di disponibilità in grado quantomeno di scomporre il fronte che a Bruxelles vede tutti compatti contro l'Italia. Un segnale da offrire anche agli investitori, ma che i due vicepremier Di Maio e Salvini hanno respinto all'unisono: «Il 2,4% non si tocca».
LA RUOTA
«Per ora», sostengono al ministero dell'Economia, dove incrociano le dita in attesa della riapertura dei mercati, del giudizio di S&P e, soprattutto, del giudizio finale della Commissione. Tria oggi aspetterà sino all'ultimo prima di spedire entro le 12 la lettera di risposta alla Commissione e, qualora vi fossero forti turbolenze, non esclude di tornare a sottoporre la riflessione all'attenzione dei due vice nella riunione di pre-consiglio che si terrà oggi.
Il fiato resta quindi sospeso perchè il giudizio espresso venerdì sera da Moody's sulla sostenibilità del debito colloca l'Italia un gradino sopra la spazzatura e trascina a ruota quello delle società partecipate. Quanto il momento sia delicato è dimostrato dalla professione di europeismo che, sempre sabato, Giuseppe Conte ha fatto fare in favore di telecamere ai due vice. Il problema è che il peso internazionale dei due vice, e di quasi tutto il governo, è relativo e non ha scalfito la convinzione che Conte prova a smontare ad ogni incontro, compreso quello che a breve avrà con Juncker. Ovvero che l'attuale maggioranza populista e sovranista abbia alla fine, sotto-sotto, sempre in mente il famoso piano B di uscita dell'Italia dall'euro.
IL TESTO
Dopo settimane di annunci e polemiche, a palazzo Chigi si è compreso che andando avanti a strappi si riducono i margini da impiegare nella manovra. Tutto grazie ad uno spread sensibile anche alle manine, alle denunce di complotti e alle sparate di un comico che oltreconfine considerano - a torto o a ragione - il vero capo politico del M5S. Gli inviti del premier Conte e del sottosegretario Giorgetti, ad abbassare i toni nei confronti della Commissione e ad aprire una discussione, sono sulla scia di quanto non si stanca di ripetere il presidente della Repubblica Mattarella e aprono alla possibilità di un ripensamento qualora Bruxelles dovesse respingere il testo. Ieri, su questo giornale, Giorgetti ha cercato di rassicurare Ue e investitori spiegando che «il 2,4% è un tetto massimo». I timori, più della Lega che del M5S, sulla tenuta del sistema bancario sono infatti forti e dovuti anche alle regole europee che impongono una ricapitalizzazione qualora il valore dell'attivo e dei titoli di stato posseduti dovessero incidere negativamente sulla patrimonializzazione. Il fatto che la Bce abbia escluso contagi rende il Paese ancor più isolato ed esposto. Ciò spinge la presidenza di turno dell'Unione - quella del premier austriaco Kurtz che governa con la destra populista della Oevp - a usare toni duri. Il giudizio di Bruxelles e quello degli investitori rischiano di provocare un mix esplosivo che il Paese rischia di non reggere anche perché in Europa non c'è nessun paese che ha problemi analoghi.
Resta il fatto che il testo della manovra e dei provvedimenti ad essa collegati, che sarebbero dovuti arrivare in Parlamento sabato scorso, ancora non ci sono. E lo stesso decreto fiscale, dopo due consigli dei ministri, non è ancora in gazzetta ufficiale, al punto che i presidenti delle Camere, Casellati e Fico, saranno costretti a rivedere i tempi della sessione di bilancio.
Le tensioni sui mercati, la più che probabile bocciatura della Commissione e le divisioni nella maggioranza, spingeranno alla fine Tria a presentare in Parlamento una manovra aperta accentuando i rischi da assalto alla diligenza che solitamente la legge di Bilancio corre nella fase di approvazione.
Mettere ordine nel caos perfetto di queste ultime settimane è l'obiettivo del premier Conte che di fatto ha assunto la regia facendosi «garante del contratto». Si naviga a vista con un contratto di governo già azzoppato e che ora rischia di infrangersi sugli scogli dello spread.