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Data: 22/10/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Ok ad Autostrade per lo sgombero» Da Genova alla Tap, così cadono i tabù

ROMA I tabù nel mondo sono tanti, quelli nell'universo grillino sono ancora di più. Ma stanno cadendo uno dopo l'altro, tra dubbi, mal di pancia, grida e strepiti, nel pieno della svolta governista - almeno a metà - che attraversa e dilania questo movimento. La bellezza del vaffa è un tabù che crolla nel pieno del Circo Massimo e questo tonfo non fa il rumore che ci si sarebbe aspettati, ossia non esplode affatto l'indignazione e anzi serpeggia la condivisione quando Luigi Di Maio dice: «Abbiamo detto tanto vaffa e ora qualcuno ce lo prendiamo pure noi». Il vaffa dei No Tap, causato dal dietrofront nella battaglia anti-gasdotto pugliese, è quello più evidente nella piazza. La ministra del Mezzogiorno, Barbara Lezzi, che fu la pasionaria di quella battaglia per la decrescita felice che riempì il granaio elettorale M5S in Puglia, da neo Sì Tap concede ai salentini No Tap di incontrarli - ed eccoli con tutti i volantini e i cartelli grondanti di delusione M5S anti-M5S - e dice loro: «Se un negozio ha tutte le autorizzazioni, non si può impedirgli di aprire». Ovvero, cari amici salentini, fatevene una ragione: il Tap è tutto in regola, in fondo è solo un tubicino invisibile e basta con le lagne.
SALENTINI CON FURORE
Ma loro insistono con il loro slogan: «Tap, uguale tradire Grillo e il Salento». Una signora un po' anziana arrivata con il pullman da Lecce: «Io mi auguro con tutto il cuore che riescano a stoppare questa cosa e sono una 5 Stelle doc. Capisco le difficoltà dei portavoce, ma la parola data si rispetta». E così, con questo tabù che salta, la decrescita non è più felice e lo sviluppismo, odiatissimo dall'ortodossia pentastellata diventa una scelta obbligata da realpolitik (pagare le penali dell'interruzione dei lavori costa assai). Un altro tabù che crolla è che si può criticare, aspramente, anche Grillo che ieri ha attaccato il Capo dello Stato.
REVISIONISMO
Quanto al Ponte Morandi, viene da dire: povero Dibba padre che sabato girava con addosso il cartello con su scritto «No Tav, No Tap, nazionalizzare Benetton». Invece Benetton, la bestia nera colpevole di strage secondo i grillini, è a sua volta oggetto di semi-revisione storica. Con le parole di Di Maio: «Non c'è un ritorno in campo di Autostrade», premette il vicepremier. «La società concessionaria - incalza - può però rimuovere le macerie. Si può prevedere questo impiego ma non la ricostruzione. Non dovrà mettere una pietra in più l'impresa che ha fatto crollare il ponte». Dunque, qualcosa si concede sul Morandi, e questa è un'altra svolta impensabile fino a pochi giorni fa.
Salta perfino uno dei tabù più rocciosamente resistenti: quello delle autoblù. La polemica contro i papaveri e i mandarini del Palazzo viaggianti in comodità e con i vetri oscurati - indimenticabile Fico il pauperista che esordisce invece in autobus da presidente della Camera - è stato il trampolino del successo M5S. Ma ora proprio Grillo lo fa a pezzi. «Non siamo più ragazzi», dice al Circo Massimo: «Sono arrivato qui e ho visto le auto blu. Ho detto: di chi sono queste? Cazzo, sono nostre, ora siamo al governo». E non le graffia con una chiave (o ci sputa sopra) quei simboli della kasta, anzi ne ha parlato senza vaffa, quasi con affetto, come un bene necessario o comunque non scandaloso. Come una delle tante necessità di quando si cambia vita e si passa dal niente al potere.
Il problema della caduta dei tabù è che non tutti dentro il movimento la stanno prendendo bene. E a questi, Di Maio e gli altri governisti non possono gridare vaffa, non solo perché non si usa più ma soprattutto perché anche i voti degli arrabbiati fanno massa e in tempi di magra non si può buttare via niente.

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