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Data: 23/10/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso la manovra di bilancio - «Fuori dalle regole per crescere» Conte apre al dialogo con la Ue. Spunta la manovra di scorta: se necessario tagli alla spesa

ROMA «Il governo italiano è cosciente di aver scelto un'impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di stabilità e crescita». Fin dall'inizio della sua risposta all'Unione europea (inviata a Bruxelles ieri) il ministro dell'Economia Tria riconosce che non ci sono margini per un'intesa sulle cifre e dunque per evitare l'avvio della procedura per disavanzo eccessivo. Dunque la variazione strutturale tra il 2018 e il 2019 resterà fissata al -0,8% scritto nel Documento programmatico di bilancio. L'esecutivo però vuole spiegare le ragioni di questa «decisione difficile ma necessaria»: ovvero «il persistente ritardo nel recuperare i livelli di Pil pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana». Sul piano politico poi «il governo intende attuare le parti qualificanti del programma economico e sociale su cui ha ottenuto la fiducia del Parlamento italiano». La stessa linea argomentativa viene sviluppata in relazione al mancato rispetto della regola del debito: Tria fa notare che l'incidenza del debito pubblico sul Pil è destinata a calare, ma a suo avviso non si può fare di più perché ora la priorità è «imprimere un'accelerazione alla crescita», anche attraverso il «rilancio degli investimenti pubblici».
Infine - questo era il terzo rilievo della commissione - il governo di fronte alla mancata validazione dello scenario tendenziale da parte dell'Ufficio parlamentare di bilancio ritiene sufficiente aver esposto alle Camere le motivazioni su cui si basano i suoi numeri. Il punto contestato dall'Autorità indipendente guidata da Giuseppe Pisauro è il passaggio dalle stime tendenziali della crescita a quelle programmatiche. Il salto tra 0,9 e 1,5 per cento di incremento del Pil sarebbe reso possibile dalle misure che dovrebbero finalmente sbloccare gli investimenti e dalle riforme strutturali in tema di semplificazione, digitaliazzazione della Pa, revisione del Codice degli appalti e del diritto contrattuale.
GLI OBIETTIVI
Dunque, riassumendo, l'obiettivo di deficit per il 2019 resta fissato al 2,4 per cento del Pil. Il governo però vuole in qualche modo rassicurare la commissione. Lo fa da una parte ricordando che non c'è intenzione di «espandere ulteriormente» il deficit negli anni successivi, e che il percorso verso l'obiettivo di medio termine (ovvero il pareggio di bilancio in termini strutturali) potrà riprendere a partire dal 2022 o anche prima se il prodotto interno lordo dovesse recuperare i livelli pre crisi. Allo stesso tempo Tria garantisce che la soglia del 2,4 non sarà superata. Si tratta del «limite superiore autorizzato dal Parlamento» e comunque questo obiettivo non dovrebbe risultare compromesso qualora non si dovesse concretizzare la stima di crescita programmatica. In ogni caso l'esecutivo è pronto a intervenire «adottando tutte le necessarie misure affinché gli obiettivi indicati siano rigorosamente rispettati». È la via, già indicata dal ministro, delle clausole di salvaguardia che bloccherebbero alcune spese in caso di necessità; ne ha parlato anche Paolo Savona accennando a possibili verifiche trimestrali.
LO SCENARIO
Sullo stesso concetto si è soffermato anche il presidente del Consiglio Conte parlando alla stampa estera: «Se ci accorgessimo che il trend della nostra economia non si adegua agli obiettivi, adotteremo misure di contenimento della spesa perché quel tetto non lo supereremo assolutamente». Con una precisazione in più: «Siamo anche disponibili a valutare un contenimento in corso di attuazione della legge di Bilancio». La maggioranza insomma si lascia in qualche modo le mani libere: pur ribadendo le proprie posizioni alla Ue, non esclude possibili novità, che potrebbero eventualmente scattare anche prima dell'avvio formale della procedura per deficit eccessivo. Il tutto in quello spirito di «dialogo costruttivo» che Roma vorrebbe tenere aperto: nella chiusa della lettera, a ogni buon conto, viene ricordato che «il posto dell'Italia è in Europa e nell'area dell'euro».

Spunta la manovra di scorta: se necessario tagli alla spesa

ROMA A dispetto di ciò che dicono Di Maio e Salvini («Dalla Ue bocciatura certa ma andiamo avanti lo stesso», ha sottolineato anche ieri sera il leader leghista al termine della cena nei pressi di Palazzo Chigi con il premier Conte e lo stesso Di Maio), c'è eccome un piano B. Non è l'uscita dall'euro. Anzi, è in direzione opposta: una «rimodulazione» del reddito di cittadinanza e di quota 100 per la pensione, se i mercati finanziari dovessero colpire duro e se lo spread schizzasse alle stelle. Arrivando anche a trattare con la Ue. E ieri il presidente del Consiglio ha avuto colloqui telefonici con Jean-Claude Juncker e Angela Merkel.
Non è un caso che di spread - nel giorno in cui il differenziale con i Bund tedeschi apre in calo (282 punti) e poi si attesta sui livelli di venerdì (303) - parlano un po' tutti. E tutti, Salvini compreso nonostante la vittoria in Trentino dia altro carburante alla Lega, adombrano appunto la possibilità di limitare le misure di spesa se i mercati dovessero mostrare la faccia feroce. «Non faremo alcuna patrimoniale, né prelievo sui conti. Ci può essere semmai una rimodulazione delle misure previste. Essendo persone responsabili viaggiamo con la ruota di scorta», rassicura il leader leghista. E il premier Conte: «Sullo spread non posso garantire, siamo però disponibili a valutare un contenimento della spesa». Più cauto Di Maio che teme di dover rinviare sine die il suo reddito.
Un approccio confermato alla cena di governo ieri sera. Dove è stato perfezionato il dossier: se le cose si dovessero mettere davvero male, il reddito di cittadinanza e la revisione della legge Fornero potrebbero essere rinviati, o diluiti. Questo perché, con i tassi d'interesse in pericolosa ascesa e il sistema bancario sull'orlo del tracollo, il ritorno elettorale (alle elezioni europee di maggio) delle due misure volute da 5Stelle e Lega rischierebbe di essere cancellato. Meglio dunque in questo caso, per Salvini, schiacciare sul pedale del freno. Più cauto Di Maio che non si dà pace all'idea di dover rinviare, o limitare, il reddito.
Questo, appunto, è il piano B. Quello che scatterebbe se venerdì Standard & Poor's dovesse praticare un declassamento del debito italiano più violento di quello di Moody's e se i mercati, dopo la prevista e scontata bocciatura della manovra economica oggi da parte della Commissione Ue non dovessero concedere margini d'azione.
Le dichiarazioni concilianti di Salvini, Di Maio e Conte e la lettera inviata dal ministro Tria a Bruxelles puntano a evitare proprio l'escalation del differenziale. Ecco così il leader pentastellato promettere «confronto e dialogo» con la Commissione. Ecco Salvini dirsi pronto a incontrare perfino gli odiati Juncker e Moscovici. E Tria mettere nero su bianco: «Qualora i rapporti deficit-Pil e debito-Pil non dovessero evolvere in linea con quanto programmato, il governo si impegna a intervenire adottando tutte le misure necessarie». Linea confermata da Conte: «Con la Commissione vogliano un dialogo con spirito leale». Dietro tutte queste parole c'è la possibilità - almeno questo è quello che l'esecutivo spera - che in caso di necessità scatti un intervento della Bce.
Il governo insomma cerca di abbassare i toni, come ha suggerito anche il presidente Sergio Mattarella che spera in una mediazione con Bruxelles. Ma al contrario del capo dello Stato, di Tria e, su una posizione più sfumata, di Conte, Salvini e Di Maio non hanno alcuna intenzione di modificare la manovra.
IL PIANO A: LO SCONTRO
In caso di calma relativa sui mercati finanziari, i leader Lega e 5Stelle già fanno sapere che non arretreranno di un millimetro. La manovra «non verrà modificata». E sono pronti a giocare una campagna elettorale d'attacco contro «gli euroburocrati», appuntandosi sul petto le medaglie della bocciatura di Bruxelles (sollecitata da molti premier del Nord) e la conseguente procedura d'infrazione. Di Maio ha già cominciato: «L'Europa vuole impedirci di migliorare la vita delle persone». Salvini non è da meno: «Le manovre lacrime e sangue spedite per mail da Bruxelles, con cui gli italiani sono stati massacrati, con noi non funzionano». La speranza è di ritrovarsi poi a giugno con un Parlamento europeo a trazione populista-sovranista e avere, perciò, maggiori margini di azione e più forza contrattuale. «A maggio ci sarà un terremoto», azzarda Di Maio, «chi ora fa il commissario se ne andrà a casa».
E' molto difficile, come conferma anche Confindustria, che il governo centri la crescita il prossimo anno dell'1,5%. Tutti gli indicatori parlano di 0,9. Se non peggio. Però l'eventuale manovra correttiva arriverebbe solo dopo il secondo trimestre, quando l'Istat fornirà i dati dei primi sei mesi. Vale a dire in agosto o addirittura in settembre. Sempre che lo spread non tradisca il governo giallo-verde.

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