ROMA Diciamolo subito: nonostante i numeri risicati in Senato (167 senatori quando la maggioranza assoluta è a quota 161) il governo non corre alcun rischio sul varo di propri provvedimenti. L'emersione di gruppi di dissidenti fra i senatori M5S è un fatto politico di peso, e infatti ieri il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha subito lanciato un segnale sulla prescrizione gradito all'ala sinistra del Movimento, ma - almeno per ora - non ci sono le condizioni perché i decreti del governo giallo-verde non passino.
Tanto è vero che la senatrice pentastellata che nei giorni scorsi forse si è esposta più di tutti, Paola Nugnes, notoriamente su posizioni di sinistra, ieri sera ha aperto alla possibilità di trovare «una sintesi». Il voto finale è atteso solo la prossima settimana: c'è tutto il tempo per trattare, provando a smussare i punti più duri del provvedimento.
Ciò detto è evidente che in questi giorni si va rapidamente chiudendo quella fase trionfalista del M5S, in parte fisiologica nel dopo-elezioni e in parte gonfiata ad arte da un apparato comunicativo allenato nel lancio di messaggi semplici e roboanti, che ha segnato finora lo sbarco a Palazzo Chigi del Movimento. Le crepe nella compattezza del gruppo pentastellato comunque sono di portata limitata. Finora sono quattro i senatori dissidenti sul decreto sicurezza che si sono spinti fino a ipotizzare il no ad eventuali fiducie, altri due hanno ampiamente manifestato dissenso sul condono inserito nel decreto fiscale. Altri due, ancora, non condividono il si al gasdotto Tap sul quale però non si prevedono voti. Che fra i 5Stelle ci sia più di qualche problema lo conferma anche la decisione di far slittare l'assemblea del gruppo col vice-premier Di Maio.
I NUMERI
In Senato tutto comunque si gioca su una manciata di voti. Come detto M5s e Lega possono contare sulla carta su 6 voti in più rispetto alla maggioranza assoluta: con i 58 senatori leghisti e i 109 pentastellati, il governo ha una maggioranza di 167 voti, la maggioranza assoluta è fissata a quota 161. Tutte le altre forze di opposizione, invece, hanno sempre sulla carta 151 voti.
Se tutti e quattro i dissidenti sul decreto sicurezza dovessero confermare di non votare a favore i favorevoli scenderebbero a 163, due in più rispetto alla maggioranza assoluta. Ma è difficilissimo che all'atto pratico servano numero così alti.
Le opposizioni infatti non sono compatte. I 18 senatori dei Fratelli d'Italia e i 57 di Forza Italia non sembrano interessati davvero a far cadere il governo in tempi così brevi e neppure il Pd, in piena fase congressuale, avrebbe le idee chiare e le mani salde necessarie ad affrontare una improvvisa crisi di governo.
I Cinquestelle comunque continuano a ricorrere alla tattica di far seguire al classico colpo al cerchio quello alla botte. E così, se a Torino si vota contro la Ferrovia ad Alta Velocità dopo il via libera al gasdotto internazionale in Puglia ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha lanciato un segnale alla sinistra del partito annunciando per oggi un emendamento all'interno del disegno di legge Anticorruzione per fermare la prescrizione «per tutti i reati a partire dalla prima sentenza».
Bonafede ieri ha incontrato il Comitato delle associazioni delle vittime delle stragi in Italia, Noi non dimentichiamo, che riunisce le tante associazioni di vittime, da Viareggio 2009, Moby Prince, Porto di Genova, Rigopiano, Casalecchio sul Reno, L'Aquila, e varie altre, che al ministro hanno presentato una articolata proposta di legge il cui fulcro è proprio l'annoso problema della prescrizione.
«Questo tema era nel contratto di governo - ha commentato Bonafede - Abbiamo inserito nella manovra fondi sufficienti per la Giustizia e dunque ora possiamo metter mano anche alla prescrizione fermandola per tutti i reati dopo la prima sentenza».
Trattativa per evitare lo strappo L'ultima arma: chi si sfila è fuori
ROMA «La verità è che Luigi ha troppi dossier aperti e non ce la fa a seguirli tutti». Quando ormai è notte e l'assemblea congiunta del M5S è stata sconvocata, dal cerchio magico di Di Maio provano a mettere in fila i problemi con estrema sincerità: c'è la fronda sul dl-sicurezza, certo, ma poi incombe la manovra, la Tap che andrà avanti nonostante i proclami della campagna elettorale, la guerriglia sulla Tav e le nomine Rai da far quadrare. Ogni giorno ne esce una nuova. Dire che il capo politico sia in difficoltà è riduttivo. La prova del fuoco è sul dl sicurezza: ci sono cinque senatori grillini contrari, seppur con diverse sfumature (Paola Nugnes, Matteo Mantero, Gregorio De Falco, Elena Fattori e Virginia La Mura). Massimiliano Romeo, capogruppo del Senato, li chiama con un pizzico di ironia «pecorelle smarrite» e spera che prima o poi rientrino dunque all'ovile. Ma non è così semplice.
Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato, dice l'ovvio ma che suona come un ultimatum: «Se ci sarà la fiducia e qualcuno voterà no - dice a Il Messaggero - si metterà automaticamente fuori dal Movimento: significa che non crede in questo governo, dura lex sed lex. Le nostre regole parlano chiaro, ma è anche una questione di logica».
I numeri sono ballerini a Palazzo Madama e con 5 voti in meno la maggioranza correrebbe sul filo di lana: uno scarto di due in più a cui aggiungere i quattro del gruppo misto.
In caso di defezioni scatterebbe l'allarme e la richiesta di sponda Fratelli d'Italia. «Ne prenderemmo atto - continua Patuanelli - anche se FdI non fa parte di questo governo e non avrebbe nulla in cambio, questo voglio che sia chiaro».
Ecco, perché seppur in maniera sotterranea si cerca un'estrema mediazione con i senatori ribelli. Ma è complicata. Anche Roberto Fico è in campo, seppur con discrezione, in quanto «uomo del dialogo». Alcuni parlamentari sono riconducibili a lui, altri pare di no.
LA MOSSA
Se Salvini deciderà di non porre la fiducia sarà già un passo in avanti e un aiuto soprattutto a Di Maio. Non a caso tutti aspettano il rientro del titolare del Viminale dal Qatar. Le voci dei ribelli sono frastagliate. Qualche esempio. «Il decreto sicurezza non lo voterò. Anche se ci fosse la fiducia», avverte il senatore Matteo Mantero. È un muro contro muro che sembra tuttavia incrinarsi con il passare delle ore.
Il tempo lascia spazio infatti per un possibile accordo: ieri la commissione che stava esaminando il testo si è dovuta fermare per attendere l'ok della Bilancio sulla copertura delle misure previste ed anche l'esame in Aula arriverà solo ad inizio della prossima settimana. Sarà questo il termine ultimo. «Voglio votare contro questo provvedimento, partito male, ma nel caso di un'eventuale fiducia mi riservo di valutare il da farsi» precisa la senatrice ribelle dei 5S, Paola Nugnes che a fine giornata sembra ancora più possibilista: «I voti in Aula ci sono tutti», dice ricordando che «lo studio del provvedimento non è ancora finito» e che quando lo sarà farà con i suoi colleghi una valutazione. «Lavoriamo - assicura - per trovare una sintesi». In privato si sfoga però così: «Noi non siamo il Pd di Renzi». Anche il senatore Gregorio De Falco sembra aver seppellito l'ascia di guerra: «Abbiamo registrato qualche miglioria anche importante, però il punto di approdo è ancora lontano, ma il lavoro prosegue».
Si tratta dunque sui permessi umanitari e sugli Sprar: sono questi i punti qualificanti richiesti dai pentastellati. Concessioni però che Matteo Salvini non può e non vuole permettersi di mettere sul tavolo. Ne va dell'impianto del decreto. «Non voglio una roba annacquata», dice ai suoi il leader del Carroccio. E dunque si tratta più che altro appunto sulla fiducia. Un'eventualità che a questo punto tutti vogliono scongiurare, per evitare appunto soluzioni drastiche e dirompenti che andrebbero a impattare sulla leadership proprio di Di Maio. C'è tempo fino a lunedì. Poi scatterà l'ordalia.