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Data: 04/11/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Salvini: «Con i 5Stelle lavoro bene» Ma lascia la Lega libera di attaccare

ROMA Il piano del governo è inclinato, la leadership di Luigi Di Maio indebolita anche per gli attacchi provenienti dall'interno del Movimento, ma per Matteo Salvini non è questo il momento per assestare alla coalizione il colpo del ko. Troppo alta la responsabilità di mandare il Paese all'esercizio provvisorio e poi, forse, alle urne. O dover magari cedere il passo a quel governo dei tecnici che un altro Matteo, Renzi, già pronostica.
I FIANCHI
Puntellare il traballante vicepremier grillino, sperando di arrivare alle Europee di maggio, diventa quindi fondamentale per Salvini che si offre come garante, tranquillizza il collega che con i suoi lo definisce «terrorizzato dai sondaggi, un po' come Berlusconi». Il tutto mentre lascia ad altri il compito di logorare ai fianchi l'alleato lavorando sulle sue contraddizioni e su quel banale principio di realtà con il quale Di Maio e i suoi ministri spesso faticano a fare i conti. Salvo poi scoprire di aver ceduto alla Lega quasi tutti i consensi raccolti da Roma in su.
Ad innervosire l'alleato pentastellato, ieri la sortita della ministra Bongiorno sulla prescrizione e quella del sottosegretario Siri sul reddito di cittadinanza. Il giorno prima quella del sottosegretario Giorgetti, sempre sul reddito caro ai grillini. E poi ancora le tensioni sul decreto sicurezza, il tentativo di allargare di nuovo il decreto fiscale, la partita delle nomine non ancora concluse (Rai e Istat, in testa), la Tav. Un lungo elenco di questioni aperte con il contratto di governo che è ormai saltato e diventato testimone-ricattatorio da sventolarsi in faccia.
La temperatura è torrida. Il rischio dell'implosione elevato. «Nessun problema». «Siamo uniti». «Il governo durerà cinque anni», ripete Matteo Salvini che pubblicamente getta acqua sul fuoco e al telefono rassicura ogni mattina l'alleato che lo chiama con l'umore sempre più nero dopo aver letto la casella delle mail ministeriali, i messaggi che gli gira la Casaleggio e i blog delle Stelle.
L'insidia più grande per Di Maio arriva però dall'interno del Movimento e c'era da aspettarselo. Vincere le elezioni promettendo, e mettendo insieme una serie di contro è facile, ma governare significa dover alla fine decidere e la serie infinita di questioni rinviate certifica la situazione di stallo. Il problema principale di Salvini è quello di non essere tirato nelle sabbie mobili e per questo sfoggia una certa dinamicità sui temi che riguardano il suo ministero mentre i colonnelli del suo partito a palazzo Chigi, in Parlamento e nelle commissioni alzano la posta.
Sorreggere la leadership dell'alleato grillino incassando il più possibile ora sulla sicurezza, ora sul decreto fiscale, ora sulla Tav. Perché, come ricorda impietosamente il senatore De Falco (M5S), «anche Di Maio è a scadenza». Il vicepremier - come prevede lo statuto grillino - sta infatti consumando la sua ultima occasione con la seconda e ultima legislatura. Insieme a lui tutta la vecchia guardia del Movimento che dopo la legislatura del 2013 è ora al governo. Una debolezza questa, di Di Maio e di tutto il suo cerchio magico ministeriale, che l'ex comandante De Falco sottolinea, ma che Salvini conosce e sfrutta.
I DUE FORNI
Salvini, che a vent'anni come consigliere comunale di Milano consumò la sua prima legislatura, non ha certamente il problema dei due mandati che irrigidisce Di Maio trasformando il M5S in ostaggio di un alleato che oltretutto continua a tenere ancora caldo il forno del centrodestra. Il vicepremier e pluri-ministro non sembra avere per ora alternative mentre l'alleanza con i sovranisti della Lega rischia di bruciare anche le possibili intese in Europa sulle quali sta lavorando il sottosegretario Stefano Buffagni. Mentre Salvini tiene aperto il rapporto con Forza Italia e con FdI di Meloni e Crosetto, il M5S continua a non avere rapporti con il Pd dove ancora regna il mandato tutto renziano del «mai con quegli scappati di casa dei grillini». Accusare quindi la Lega di «nostalgia di Berlusconi», come fanno ora molti nel Movimento, significa certificare una solitudine e rilanciare un'opzione che non li prevede.
Nel frattempo il reddito di cittadinanza slitta nel tempo, con Salvini che ieri lo ha definito «reddito di inserimento al lavoro». Ostentate prese di distanza che confermano come sarà complicato per il premier Conte mettere insieme la versione molto nordica della Lega con quella assistenziale pentastellata.

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