BRUXELLES Meno sette. Sette giorni, entro il 13 novembre il governo deve dare una risposta alla Commissione: o modifica il progetto di bilancio, cioè riduce il livello del deficit/pil in termini nominali assicurando almeno un minimo aggiustamento dei conti in termini strutturali o tira dritto. Per quanto in queste ore la parola d'ordine a Roma e a Bruxelles sia «negoziare», non appare chiaro su che cosa si stia discutendo visto che il governo continua a insistere che la manovra non si cambia. Né la posizione europea si è ammorbidita. «Ci aspettiamo dal governo italiano una risposta forte e precisa», ribadisce il commissario Moscovici. Esclusi aggiramenti come quello di confermare il saldo di deficit/pil nominale al 2,4% spergiurando che nella realtà il risultato potrebbe essere inferiore. Non aggiunge molto anche la posizione del premier Conte, che ha ricordato come in caso di crescita inferiore alle stime scatterebbero tagli di spesa automatici.
IN SALITA
Il vicepresidente Dombrovskis ricorda al ministro Giovanni Tria che «occorre una correzione sostanziale del bilancio, la deviazione dell'Italia rispetto ai requisiti è notevole». L'Italia dovrebbe assicurare un aggiustamento del deficit strutturale (al netto delle misure una tantum e degli effetti del ciclo economico) pari allo 0,6% del pil, 10,8 miliardi, invece il deficit peggiorerà dello 0,8%, cioè 14,4 miliardi. Lo scarto «è molto ampio». Per l'Italia non è il momento di aumentare il deficit e il debito bensì di ridurlo, spiega Dombrovskis, perché l'economia cresce non è depressa. I governi Eurozona sono sulla stessa linea, temono effetti negativi sui mercati, sulla credibilità del sistema di coordinamento dei bilanci. E si teme una crisi bancaria dato che la svalutazione dei titoli sovrani detenuti dalle banche a un certo punto potrà far emergere ammanchi patrimoniali. Se la situazione è questa, gli scenari possibili sono due. Il primo è più semplice ma più improbabile: il governo corregge i saldi di bilancio e viene incontro alle richieste europee. Non è questa l'aria che tira. Se il governo manterrà il punto sui saldi, ecco il secondo scenario conseguente: il 21 novembre la Commissione presenterà il rapporto sul debito constatando che ci sono gli elementi per lanciare una procedura per deficit eccessivo e, in aggiunta, presenterà l'opinione da inviare al comitato economico e finanziario Ue (ne fanno parte gli Stati) che ha 15 giorni di tempo per pronunciarsi. La procedura per il debito (mai aperta finora) si riferisce al 2017: Bruxelles aveva concluso che la regola di riduzione era stata più o meno rispettata a condizione che sarebbe proseguito il consolidamento di bilancio. Cosa che il governo ha deciso di non fare. Di qui la riapertura del caso 2017.
Le decisioni sulla procedura hanno tempi lunghi. Se sarà appunto il caso come tutti si attendono, l'Eurogruppo si pronuncerà solo a gennaio. Poi ci saranno ulteriori passaggi. E qui c'è il nuovo scenario: appare evidente che il governo punta ad assicurarsi una procedura morbida e a sfruttare tutto lo spazio negoziale che le regole permettono nonostante che la supervisione europea diventi più stretta. Ciò vuol dire trattare modalità, misure, tempi della procedura. Basti pensare che uno Stato sotto procedura deve agire per correggere lo squilibrio finanziario entro 6 mesi o 3 mesi se la situazione è giudicata particolarmente seria. Lo svantaggio per l'Italia è che il controllo sui conti sarà costante e più intrusivo. Ma c'è anche il vantaggio che un percorso del genere potrebbe stabilizzare lo spread, se non farlo calare almeno un pò, cosa che il governo non riesce ad assicurare. In qualche modo si accetterebbe l'idea che l'Italia ha bisogno del vincolo esterno. Suona paradossale. Che di questo si stia parlando lo hanno confermato varie fonti. E non è un caso che l'altra sera il Mef abbia inviato questo messaggio: l'Italia rispetta pienamente le modalità con cui nella Ue vengono trattate le deviazioni dei conti pubblici.