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Data: 13/11/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Pensioni, i tagli con quota 100 fino al 30%. Istat: allarme crescita. Ma lasciare il lavoro prima conviene si incassa meno però per più tempo

ROMA Il problema del Paese è la crescita. Mentre il governo mette a punto la propria risposta a Bruxelles, dalle audizioni parlamentari sulla legge di bilancio emerge la conferma che l'incremento del prodotto il prossimo anno si manterrà al di sotto dell'obiettivo che il governo si è posto (1,5 per cento). Pur con differenti sottolineature, Istat, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio hanno dato la stessa indicazione, che a quanto pare potrebbe essere in qualche modo recepita dall'esecutivo proprio nella difficile interlocuzione con la commissione europea. Dall'intervento dell'Upb è uscita però anche una prima simulazione degli effetti dei pensionamenti anticipati, con la cosiddetta quota 100. Per chi sceglie di lasciare il lavoro ci sarà una riduzione dell'importo della pensione lorda - rispetto a quella che si sarebbe ottenuta restando in attività - che va dal 5 per cento fino a oltre il 30 nel caso l'anticipo sia di circa sei anni. Non si tratta di una penalizzazione decisa dal governo, ma semplicemente dell'effetto della minore contribuzione rispetto a quella piena. «Un mutato scenario economico potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica, in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi» ha detto il presidente Istat facente funzioni Maurizio Franzini. E proprio nel giorno in cui lo stesso istituto di statistica ha fatto sapere che a settembre la produzione industriale è calata dello 0,2 per cento su base mensile (+1,3% il dato annuale) Franzini ha osservato come per centrare l'obiettivo di una crescita dell'1,2 per cento a fine 2018 occorrerebbe un +0,4% nel quarto trimestre. L'Istat poi, usando dati e modelli di cui dispone, ha potuto stimare l'effetto di alcune misure inserite nella manovra. Così ad esempio gli 8 miliardi destinati al reddito di cittadinanza (del quale comunque non sono noti i dettagli) potrebbero portare una maggiore crescita pari allo 0,2-0,3 per cento del Pil.
IL RALLENTAMENTO
Sul tema della crescita si è soffermato l'Ufficio parlamentare di Bilancio, che nei giorni scorsi non aveva convalidato il quadro programmatico del governo. «Il rallentamento congiunturale già sottolineato si è ulteriormente accentuato - ha osservato il presidente Giuseppe Pisauro - secondo le stime di breve termine la crescita del 2019 già acquisita risulterebbe pari allo 0,1 per cento, rendendo l'obiettivo» dell'1,5% del Pil per il 2019 «ancora più ambizioso». Di conseguenza il rapporto deficit/Pil salirebbe al 2,6%. Anche il presidente della Corte dei Conti Angelo Buscema ha fatto osservare che il traguardo dell'1,5% «richiederebbe una ripartenza particolarmente vivace e una ripresa duratura». Le osservazioni della magistratura contabile si sono concentrate anche sulle misure fiscali, tra cui il condono, per il quale esisterebbero dubbi di costituzionalità, e la cosiddetta flat tax per i lavoratori autonomi, che favorirebbe l'evasione.
I COSTRUTTORI
Nel pomeriggio sono stati ascoltati dalle commissioni Bilancio di Camera e Senato anche i rappresentanti di Confindustria, delle banche e quelli dei costruttori. Il presidente degli industriali Boccia ha ribadito che gli annunciati pensionamenti anticipati non potranno garantire un ugual numero di assunzioni di giovani. L'Abi non ha mancato di evidenziare come gli inasprimenti fiscali a carico degli istituti di credito avranno come un impatto sulla loro capacità di sostenere l'economia, e quindi su famiglie e imprese. L'Ance invece ha messo in dubbio la capacità del governo di spingere davvero gli investimenti con la legge di bilancio. Gli obiettivi appaiono irrealizzabili, ha sostenuto il presidente Gabriele Buia, perché gli stanziamenti saranno ancora una volta bloccati dalle complesse procedure.

Ma lasciare il lavoro prima conviene si incassa meno però per più tempo

ROMA In pensione prima, ma con un assegno più basso. È questa la scelta di fronte alla quale potrebbero trovarsi i lavoratori che il prossimo volessero approfittare di «Quota 100», la possibilità offerta dal governo di anticipare l'uscita con 62 anni di età e 38 di contributi. Il taglio dell'assegno non dipende da una decisione del governo che, anzi, non ha introdotto nessun tipo di penalizzazione per il prepensionamento. Dipende invece, dai meccanismi automatici del sistema di calcolo contributivo delle pensioni (chi lascerà il lavoro avrà una quota dell'assegno calcolata con il metodo contributivo e una con quello retributivo). Rispetto alla legge Fornero, che dal prossimo anno porta a 67 anni l'età di pensionamento, si può lasciare il lavoro fino a 5 anni prima (62 anni). Ogni anno di anticipo, tuttavia, ha due conseguenze: si versano meno contributi e non si hanno scatti salariali. Siccome il valore della pensione dipende dai contributi versati, di fatto l'anticipo di traduce in un assegno minore. Sul cui importo incidono anche i coefficienti di trasformazione, un numeretto che trasforma i contributi nella pensione vera e propria. Più passa il tempo più quel numeretto cresce e con lui l'assegno. A 62 anni il coefficiente è 4,790. A 67 anni è 5,604. Questi due elementi agiscono insomma, come un effetto forbice sulla pensione? Di quanto la riducono? I conteggi li ha fatti l'Upb, l'Ufficio Parlamentare di Bilancio, l'Authority indipendente che deve certificare le stime del governo. Il taglio, secondo i conteggi fatti dall'Upb usando la banca dati dell'Inps, oscillano tra il 5% per chi anticipa di un solo anno l'uscita, fino a 34% per chi esce cinque anni prima rispetto ai requisiti della Fornero.
I CONTEGGI
Ma basta questo dato a valutare la convenienza o meno ad anticipare la pensione? In realtà no. E lo ammette lo stesso Upb. C'è da tener presente anche un altro elemento. Se è vero che anticipando la pensione si incassa un assegno più basso, è anche vero che quello stesso assegno lo si incassa per un tempo più lungo, perché si rimane in pensione più anni. Se si prende in considerazione anche questa variabile, i conti un po' cambiano. Per esempio, spiega l'Upb, chi anticipa la pensione di un anno approfittando dell'opportunità data da «Quota 100», alla fine avrà preso complessivamente più soldi: lo 0,22% per l'esattezza. Se si anticipa di cinque anni pieni la pensione, è vero che si incassa il 34% in meno ogni mese, ma nel complesso la perdita cumulata negli anni sarebbe limitata all'8,65% proprio perché quell'importo ridotto verrebbe corrisposto per cinque anni in più. Insomma, il calcolo di convenienza alla fine potrebbe essere una questione soggettiva. Che dipende anche da altri fattori. Come il divieto di cumulo tra pensione e reddito che sarà inserito nella norma. Secondo l'Upb, poi, «Quota 100» costerebbe 13 miliardi di euro l'anno e permetterebbe a 475 mila persone di anticipare la pensione. Ma la stima non tiene conto di tutte le clausole della norma (che non è stata ancora resa pubblica dal governo). Per i dipendenti privati ci saranno quattro finestre di uscita. Per i dipendenti pubblici ci sarà un preavviso di nove mesi. Già questi due correttivi, in realtà, riducono la platea potenziale a 360 mila persone. Secondo i conteggi del governo, ora al vagio dell'Inps e della Ragioneria generale, il costo per le casse pubbliche sarebbe di poco superiore a 5 miliardi di euro (contro i 6,7 miliardi stanziati), per poi salire a 8 miliardi il secondo anno. Ieri Matteo Salvini, comunque, ha spiegato che se «i soldi non dovessero bastare, ne troveremo altri».

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