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Data: 15/11/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Torna il condono per Ischia. M5S frena sulle espulsioni: a rischio i numeri in Senato

ROMA Se il primo che salta nella «testuggine romana» è un capitano di fregata, è probabile che qualcosa non funzioni più nel M5S. A chiederselo ormai sono gli stessi colleghi del senatore Gregorio De Falco che rischia di essere il primo epurato della legislatura dopo quelli persi durante la campagna elettorale. Stavolta però non si tratta di bonifici mancanti, ma di un Movimento che, soprattutto a Palazzo Madama, rischia di perdere qualche altro petalo sotto i colpi di un alleato, la Lega, che fa di tutto per rendere indigeste le votazioni al gruppo grillino.
LA RAZZA
Dopo il blitz in Commissione il condono edilizio a Ischia - modello Nicolazzi - è al sicuro. Nell'aula del Senato l'apporto che Forza Italia dà, lasciando libertà di coscienza, non è decisivo ma tranquillizza persino il ministro Fraccaro. Con il condono diventerà oggi legge anche il decreto Genova che arriva a tre mesi dal crollo del ponte Morandi e lascia nel gruppo pentastellato di palazzo Madama altrettante macerie. A cui si aggiungono quelle prodotte ieri dall'elezione della leghista Stefania Pucciarelli, attualmente sotto processo per istigazione razziale, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato. D'altra parte il quanto mai insidioso alleato ha sottoposto al capogruppo pentastellato Stefano Patuanelli la scelta tra la padella Pillon e la brace, Pucciarelli. Malgrado il pressing per Emma Bonino dell'ala che risponde a Roberto Fico, all'inventore dell'emendamento quasi-vax dell'«obbligo flessibile» non è stato difficile chinarsi. «Canne al vento», fa notare Filippo Sensi (Pd) anche i grillini che a Montecitorio, in commissione Affari Europei, votano una sanatoria sulle sanzioni alle fatture elettroniche voluta dal Carroccio.
IL CAMBIO
Malgrado le minacce e gli ultimatum ai cinque senatori dissidenti, Grillo e Casaleggio consigliano prudenza a Luigi Di Maio. Sulla carta la maggioranza ha a palazzo Madama sei senatori di vantaggio. Tanti per evitare una fine anticipata della legislatura, ma pochi per permettersi espulsioni e scongiurare striscianti cambi di maggioranza che, oltretutto, la Lega non disdegnerebbe. D'altra parte FdI, partito di Giorgia Meloni, è sul pianerottolo di palazzo Chigi sin dal giorno dell'arrivo di Giuseppe Conte. Ma una svolta del genere rischia di mandare in frantumi un Movimento che già fatica a mandar giù la linea impressa dal Carroccio sulla sicurezza, come sull'immigrazione, la prescrizione, le grandi opere e persino sui rapporti da tenere con Bruxelles.Ed è per questo che alla fine Di Maio ha evitato di mettere la fiducia sul decreto Genova. Il rischio era quello di portare a casa il provvedimento, condono compreso, grazie ai voti di FdI e magari di qualcuno dei sei senatori campani che ieri hanno protestato con la capogruppo Bernini per il blitz del giorno prima organizzato da FI con il Pd. Meglio quindi soprassedere o comunque limitare al massimo le espulsioni nella speranza che qualcuno si dimetta come auspica - senza contarci troppo - il sottosegretario Stefano Buffagni. Matteo Salvini osserva dalla finestra lo spettacolo offerto dal M5S, guardandosi bene dall'intervenire in casa altrui, ma continua a tenere alta l'asticella che indebolisce Di Maio e lo rende vieppiù prigioniero di un alleato che di fatto continua a disporre di due forni: quello con il M5S e quello per ora chiuso con FI e FdI. Mentre il M5S, complice la ghigliottina del due mandati e poi a casa, continua a non avere alternative. Il Pd, ieri anche con Walter Veltroni, continua infatti a dire «no» ad intese con il M5S gelando le residue speranze della senatrice Nugnes e della componente più ortodossa, legata a Roberto Fico, che freme per lo slittamento a destra del M5S.
Ovviamente le difficoltà di Di Maio e del M5S, si riflettono nell'azione di governo che risulta o bloccata su alcune questioni (vedi la vicenda della nomine Consob), o ferma a equilibri che nessuno dei due leader intende rimettere in discussione malgrado le pressioni interne e esterne all'esecutivo. La manovra di Bilancio, con il suo 2,4% di deficit e l'1,5% di crescita, rientra tra queste ultime e il ministro Tria sembra essersi arreso. Almeno per ora.

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