BRUXELLES Il giorno dopo la cena al tredicesimo piano di Palais Berlaymont, Giuseppe Conte ha ragionato sia con Angela Merkel che con Manuel Macron sulla situazione delle legge di Bilancio italiana. Cancelliera e presidente della Repubblica francese volevano sapere qual è lo stato della trattativa. Poche parole, ma tutti e due danno pubblicamente atto delle ottimistiche previsioni ascoltate poco prima, quando vengono interrogati al termine del Consiglio europeo. Anche se i due leader preferiscono non sbilanciarsi, dalle risposte si comprende la soddisfazione che Conte ha trasmesso loro per una trattativa finalmente avviata dopo settimane di tensione.
Prima della sostanza di un'intesa che è ancora tutta da scrivere, Conte e Juncker hanno voluto sottolineare il cambio di clima facendosi fotografare con il braccio sulla spalla e parlando l'uno nella lingua dell'altro. Conte - lasciando Bruxelles - evita di citare numeri e di ribadire quei saldi di debito e di rapporto con il pil, alla base della «grave violazione» contestata dai commissari economici Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis anche durante la cena di sabato sera.
Le quaranta pagine di riforme fatte, da fare e il piano di investimenti che il premier sventola davanti le telecamere, non hanno smosso più di tanto Jean Claude Juncker che sabato sera, al termine della cena, saluta Conte con un messaggio chiaro: «Se non cambiate l'impostazione e non abbassate il debito sarà difficile tenere a freno alcuni paesi». E così, con il neppure tanto velato avvertimento, di conseguenze molto a breve, Conte ribadisce quel margine di disponibilità in più che si è guadagnato in settimane di lavoro con il ministro dell'Economia Giovanni Tria e con cui i due sono partiti da Roma alla volta di Bruxelles. D'altra parte sono settimane che i paesi dell'Eurozona si nascondono dietro la Commissione, ma a breve saranno i Diciotto ministri dei paesi con la moneta unica a dover decidere tempi e modi della procedura d'infrazione. Juncker ha semplicemente ricordato a Conte ciò che a palazzo Chigi si sa perfettamente. Ovvero che nessuno dei Diciotto è disposto a fare sconti e che dai paesi del Nord Europa proviene la minacciosa richiesta di aprire subito la procedura senza attendere il varo definitivo della legge in Parlamento.
Per guadagnare tempo, e cercare di arginare la procedura per deficit, che la Commissione formalizzerà il 19 dicembre inviandola all'eurogruppo, l'Italia deve quindi dare un segnale rapidamente e Conte lo fa informando subito dopo la cena con Juncker, sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini. Insieme i tre, oltre darsi appuntamento per questa sera, hanno convenuto sulla necessità di abbassare non solo il debito ma anche di riformulare alcuni parti della manovra dando più spazio alle misure che possono favorire la crescita e convincere la Commissione. Salvini, che sabato sera aveva twittato proprio mentre era in corso la cena dando l'impressione di un tentativo di sabotaggio, ieri pomeriggio ha raccolto subito l'invito del presidente del Consiglio ad una riflessione «sui numerini». Anche nel M5S non si nega la disponibilità a riconsiderare alcune misure, ma si vuole prima comprendere bene quale possa essere l'entità del sacrificio. Contenere l'esborso per la Fornero e per il reddito di cittadinanza in favore di maggiori investimenti può infatti fare meno danni al Carroccio che al M5S.
LE SIMULAZIONI
Decisiva sarà quindi la riunione di questa sera nella quale il ministro dell'Economia Giovanni Tria arriverà con una serie di simulazioni e di tabelle che Conte e i due vice useranno per valutare sino a che punto spingersi per cercare, se non di bloccare, almeno di rendere meno pesante la procedura per debito evitando soprattutto che venga aperta a tambur battente.
«Noi ragioniamo sempre sulle riforme», ha sostenuto ieri Conte lasciando il palazzo Justus Lipsiu. Un modo elegante, per sfuggire a quei numeri che la Commissione e l'eurogruppo ha definito sin da subito «inaccettabili». «Non ci impicchiamo ad un numero, ma vogliamo mantenere le promesse», sostenevano ieri i 5Stelle. Questa sera si capirà forse sino a che punto c'è vera disponibilità a modificare la manovra. Il governo e Conte, che il prossimo 13 e 14 dicembre tornerà a Bruxelles per il Consiglio europeo e un nuovo incontro con Juncker, hanno infatti una ventina di giorni per trovare una soluzione in grado di convincere Commissione e Ecofin.
Da Reddito e Quota 100 4 miliardi di minori costi
ROMA Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, lo ha ripetuto per ben due volte. La prima, a poche ore dalla cena di sabato sera a Bruxelles con il numero uno della Commissione europea, Jean Claude Juncker. La seconda subito dopo l'incontro a tavola. «Aspettiamo le relazioni tecniche con l'impatto economico» del reddito di cittadinanza e della riforma delle pensioni, ha detto il premier a margine del Forum Rome Med. Per poi ribadire, subito dopo l'incontro con Juncker, che le due misure del governo «sono vigilate dal punto di vista tecnico. Quindi», ha aggiunto, «siamo in attesa delle relazioni sull'impatto». Quello che sta maturando tra Palazzo Chigi e il ministero del Tesoro è un escamotage tecnico per salvare capra e cavoli. Ossia la ferrea volontà del governo di voler confermare l'impianto della manovra con i due provvedimenti cardine, il reddito di cittadinanza e la riforma della legge Fornero, e l'esigenza di dare un segnale alla Commissione europea che chiede, come atto necessario per evitare la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia, di limare le stime sul deficit per il prossimo anno facendole scendere sotto il 2,4% indicato dal governo. Da qualche giorno sia Palazzo Chigi che il Tesoro, lasciano trapelare l'indicazione che reddito e pensioni costeranno meno dei 16 miliardi di euro messi a bilancio. Ma se fino a ieri l'idea era quella di certificare i risparmi man mano che maturavano nel corso del prossimo anno, adesso quegli stessi risparmi potrebbero essere indicati direttamente nelle relazioni tecniche che accompagneranno i provvedimenti attuativi delle due misure, sia che si tratti di un emendamento da presentare alla manovra, sia che si tratti di un decreto legge. Il reddito di cittadinanza, per esempio, non partirà il primo gennaio, ma il primo versamento dei 780 euro mensili agli aventi diritto dovrebbe avvenire ad aprile. Per la misura il governo ha stanziato 9 miliardi di euro per tutto il 2019, vale a dire 750 milioni al mese circa. Tre mesi di risparmio valgono, insomma, 2,25 miliardi di euro.
IL MECCANISMO
Per le pensioni vale un discorso analogo. Matteo Salvini ieri ha confermato che la riforma partirà a febbraio. In realtà i primi pensionati «Quota 100» lasceranno il lavoro ad aprile, perché dovranno attendere la finestra di tre mesi prevista dalle norme alle quali sta lavorando il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon. Non solo. Per i dipendenti statali, oltre alla finestra di tre mesi, ci sarà un obbligo di preavviso per accedere alla pensione anticipata di 6 mesi. Vuol dire che il primo dipendente pubblico che andrà in pensione il prossimo anno usando lo scivolo di «quota 100» uscirà soltanto a ottobre. Con questi due accorgimenti il costo dell'operazione sarebbe inferiore di 1,6 miliardi a quanto stanziato (nella manovra di bilancio ci sono a disposizione 6,7 miliardi il primo anno). Un minor costo che, secondo i tecnici, potrebbe salire anche fino a 2 miliardi considerando che nella norma saranno inseriti dei disincentivi ad anticipare il ritiro, come il divieto di cumulo tra pensione e reddito. Dalle due relazioni tecniche, insomma, potrebbe emergere un risparmio di 4 miliardi di euro circa, rispetto ai 16 stanziati per pensioni e reddito di cittadinanza. Si tratterebbe, in pratica, di 2 decimali di Pil, che potrebbero ridurre il deficit dal 2,4% al 2,2% senza formalmente toccare nulla della manovra. E non servirebbe neanche riscrivere le norme della legge di bilancio. Nel testo, in tempi non sospetti, il governo aveva già inserito una sorta di clausola di salvaguardia che permette di spostare da reddito a pensioni (e viceversa) i risparmi ottenuti. Ma nel caso in cui da entrambe le riforme dovessero emergere risparmi, spiegava in maniera un po' contorta il provvedimento, i minori costi avrebbero potuto essere dirottati alla riduzione del deficit. Se Ragioneria generale e Inps, insomma, certificheranno che reddito e pensioni costano meno del dovuto, allora il governo riuscirebbe a trovare la classica quadratura del cerchio: mantenere integralmente le sue promesse elettorali e accontentare le richieste della Commissione europea.