ROMA L'ultimo duello tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini è, a sorpresa, sui rapporti con gli industriali e il mondo delle imprese. Dopo che per mesi il governo giallo-verde ha snobbato il dialogo con gli imprenditori, i due vicepremier adesso se li contendono. E non manca un nuovo step del braccio di ferro sulla Tav: ora Salvini cavalca l'ipotesi del referendum.
Il capo 5Stelle non ha preso bene l'attivismo del leader leghista. Così, di buon mattino, parte all'attacco indossando i panni di ministro dello Sviluppo e stigmatizzando l'incontro di domenica mattina al Viminale tra i vertici di Confindustria e il responsabile dell'Interno. «Si sente scavalcato?», gli chiedono i cronisti. E Di Maio: «Tutti i ministri hanno il dovere di incontrare le imprese. Come ha detto il presidente Boccia, ora aspettiamo i fatti. E i fatti si fanno al ministero dello Sviluppo perché è quel ministero che si occupa delle imprese». Poi, ancora più velenoso: «Da Salvini domenica c'erano poco più di 10 sigle, noi domani qui al Mise ne riuniamo 30. Il nostro obiettivo è creare un tavolo permanente».
La risposta di Salvini arriva da Milano, a margine dell'incontro con gli industriali lombardi. Ed è gelida: «A me interessa la sostanza. Incontro, ascolto, trasferisco, propongo, miglioro. Poi l'importante è che il governo nel suo complesso aiuti gli italiani. Ognuno fa il suo. Offrirò all'amico Luigi e al premier Conte alcune proposte che, secondo me, già in questa manovra possono trovare asilo. Mi porto dietro le mie pagine di appunti che, almeno in parte, spero possano diventare legge. Soprattutto la lotta alla burocrazia e il sostegno alle imprese». Segue stoccata al decreto-dignità sui precari: «Credo che il lavoro non si faccia soltanto per decreto. Anzi, il lavoro lo creano le imprese».
LA FRAGILE TREGUA
Poco più tardi però Salvini frena. Dal suo entourage fa precisare: «Non c'è alcuna volontà di fare polemica con Di Maio. Il ministro ha visto gli imprenditori come leader della Lega in maniera spontanea e assolutamente rispettosa dei ruoli. Ha voluto dimostrare, dopo che numerosi giornali parlavano di una presunta sfiducia da parte di alcuni imprenditori del Nord nei confronti della Lega, che questa sfiducia non c'è. Anzi, la fiducia è stata rinnovata». Ed è vero, come dimostrano le parole di Marco Bonometti, presidente dell'Assolombarda: «E' avvenuta una svolta importante, ora aspettiamo i fatti». E Boccia, il presidente di Confindustria: «Dal punto di vista del metodo c'è un cambio di passo, visto che per sei mesi nessuno ci aveva convocato. Vedremo dove porta. I fatti si fanno al Mise? A me interessa il governo, non mi metto in mezzo ai due vicepremier...». A stretto giro, Di Maio dichiara: «Ogni giorno vedo titoli per farmi litigare con Matteo, ma non ci riusciranno».
Vero? Di sicuro sulla Tav le linee sono contrapposte. Mentre Di Maio attende ancora l'analisi costi-benefici, ma in segreto (soprattutto dopo l'altolà di Beppe Grillo) non fa mistero di essere contro l'alta velocità Torino-Lione, Salvini torna alla carica rilanciando l'idea di un referendum consultivo: «Se da quell'analisi non arrivasse una decisione, e io dico che deve arrivare presto perché non si può rimanere in sospeso, penso che possa essere una strada chiedere ai cittadini cosa ne pensano. Io tifo sì».
Non tarda la risposta dei 5Stelle. Prima con Di Maio: «Il referendum non lo può chiedere un ministro, ma i cittadini. Di sicuro non si può fare un referendum nazionale, servirebbe una legge». Poi quella dei grillini piemontesi: «La Tav va fermata. Evidentemente Salvini, che non si capisce più se faccia il ministro degli Interni o dei Trasporti, cerca un escamotage perché ha già appurato che l'analisi costo benefici darà ragione ai No-Tav».
L'Alta velocità però proprio ieri ha ricevuto il sì di 169 sindaci della città metropolitana di Torino. Nove gli astenuti e 14 quelli che non hanno partecipato al voto sull'ordine del giorno, tra cui la sindaca torinese Chiara Appendino. La ragione: «Attendo la conclusione dell'analisi costi-benefici».