ROMA Il colpo arriva a freddo. A un convegno su sovranismo e populismo con Giorgia Meloni in Senato. È da qui che Giancarlo Giorgetti, sottosegretario a Palazzo Chigi e numero due della Lega, va all'attacco del core business dell'alleato di governo. Dice testuale: «Purtroppo il programma elettorale del M5S al Sud ha registrato larghi consensi probabilmente anche perché era previsto il reddito di cittadinanza. Credo che abbia orientato pochissimi elettori delle mie zone. Magari è l'Italia che non ci piace, ma questa è l'Italia con cui dobbiamo confrontarci». Parole forti indirizzate alla parte produttiva del Nord, feudo del Carroccio, che vede la misura come «assistenzialista» e che da tempo ormai dimostra segnali di insofferenza. Messaggio chiaro, però, proprio ai grillini. Il braccio destro di Salvini rincara la dose agitando anche l'ombra del «lavoro nero» come rischio collaterale della misura.
LO SCENARIO
La bordata arriva in un venerdì di fredda calma apparente nella Capitale: il premier Giuseppe Conte è a Bruxelles per trattare sulla manovra, Luigi Di Maio è in tour in Abruzzo in vista delle regionali, Matteo Salvini si è concesso qualche giorno di relax per festeggiare il compleanno della figlia Mirta. Ecco, in questo scenario Giorgetti riaccende lo scontro con i pentastellati. Mettendo in discussione il totem dei totem: agita dubbi, dà sfogo a perplessità che vanno avanti da mesi.
Diversi big del M5S leggono le agenzie sui cellulari con le parole di Giorgetti e scuotono la testa. Una fonte autorevole del governo pentastellato dice a Il Messaggero: «Ha detto queste parole perché è arrabbiato nero: gli abbiamo bloccato la proroga del gioco d'azzardo». Ma sicuramente è una spiegazione parziale. O la somma di una serie di tensioni che si stanno accumulando in questi ultimi giorni di braccio di ferro con l'Europa.
La rabbia del M5S esce dagli sfoghi in «off» e prende forma con il vicepremier Luigi Di Maio: «Lavoro nero? Non credo, non ci sono rischi, perché gli ispettorati del lavoro e la Guardia di finanza faranno i loro controlli. Sento anche dire che c'è un'Italia a cui non piace il reddito di cittadinanza, mentre a noi invece piace tutta: dalla Sicilia alla Valle d'Aosta e sono veramente orgoglioso dei nostri concittadini di ogni regione». In scia ecco il capogruppo al Senato dei 5 Stelle Stefano Patuanelli: «È un'offesa nei confronti di milioni di cittadini che hanno scelto noi perché siamo da sempre l'unica forza politica innovativa e di cambiamento».
Per tutta la giornata tengono banco le frasi di Giorgetti, che si possono leggere al contrario anche in chiave interna, visti i timori di nuovi sacrifici sulle pensioni imposti dalla Ue. Addirittura il sottosegretario evoca il ritorno alle urne: «Il nostro impegno dura nella misura in cui sarà possibile realizzare il contratto di governo - dice - quando non sarà possibile finirà ma allora la parola torni al popolo perché senza il suo consenso un governo non può esistere».
Il sottosegretario, durante il dibattito a Palazzo Giustiniani, difende il lavoro di mediazione del premier Conte, e lo blinda anche dalla fronda no euro forte nella Lega con l'asse Borghi-Bagnai: «Mi sembra che stia tenendo duro». Giorgia Meloni, leader di FdI, non la pensa così: «Al primo buh della Commissione europea si è rinunciato a 0,4 punti di sforamento del deficit: è un po' forte dire che Conte stia tenendo duro, anzi mi sembra molto di più una retromarcia...». I due partiti che sulla carta sono simili ma in parlamento sono avversari la vedono diversamente anche sul senso della manovra. Ecco Meloni: «Le politiche sovraniste sono quelle che sta facendo Donald Trump con il suo choc fiscale, non quelle che sta facendo questo governo». Questa, per Meloni, non è un manovra sovranista ma populista: «Non pensa alle generazioni future e lascia loro debiti sulle spalle». Giorgetti ascolta e replica. Intanto piccona il reddito di cittadinanza ed evoca le urne.