BRUXELLES L'accordo tra Ue e Italia per evitare la procedura per violazione della regola di riduzione debito c'è, ma per ora è solo verbale. Il governo è ottimista: in serata prima il Tesoro dà la notizia, poi Palazzo Chigi frena e invoca prudenza. Però scommette sul fatto che la Commissione darà questa mattina il via libera. La Commissione è abbastanza glaciale invece: alla notizia da Roma che il lungo negoziato si chiude positivamente, sceglie la via del no comment. La portavoce liquida le domande così: «Domani ne discuterà la Commissione». Non una parola di più né una di meno. Per tutto il giorno la linea era stata sempre la stessa: «Tutte le opzioni restano sul tavolo». Alludendo alla possibilità di un'intesa come alla possibilità di avviare la procedura. In serata il riferimento agli scenari possibili è saltato. A Bruxelles vogliono vedere atti ufficiali. L'intesa è solo «tecnica» fanno sapere dal Tesoro. Deve essere valutata e fatta propria dal livello politico: in Italia dal Paramento, a Bruxelles dalla Commissione. Il via libera del governo è scontato. Nel corso della giornata, per lunghe ore, le discussioni si erano arenate sempre sullo stesso scoglio: assicurare una minima riduzione del deficit/Pil in termini strutturali che per la Commissione è la sola condizione per non lanciare la procedura che porterebbe a un mezzo commissariamento dell'Italia. Stamattina i commissari ascolteranno il vicepresidente Dombrovskis e il responsabile degli affari economici Moscovici che hanno trattato in queste settimane con il ministro Tria e direttamente anche con il premier Conte. Dovranno entrare nel dettaglio, la decisione sarà collettiva. L'attesa è che la Commissione dia il via libera e che ci siano i presupposti per non aprire la procedura per debito eccessivo. Tuttavia ai commissari saranno consegnati i documenti tra cui la proposta italiana nella quale c'è una riduzione del deficit/Pil in termini strutturali verosimilmente in termini minimi (-0,1%): ai commissari decidere se è sufficiente o meno.
LE DUE STRADE
Due le strade. La prima è che Bruxelles chiuda il caso Italia e prenda semplicemente nota che il governo ha fatto una clamorosa retromarcia rispetto alla prima stesura della legge di bilancio 2019 (perché di questo si tratta) e rispetta «a grandi linee» il patto di stabilità. La seconda è che prenda nota di tutto questo, ma si riservi di prendere una decisione definitiva una volta che il progetto diventerà legge, sarà votato e certificato dal Parlamento. Un modo per evitare malintesi se non brutte sorprese dell'ultima ora. E, anche, per mantenere una forma di pressione politica esterna. Oltreché per convincere i commissari che potrebbero avere dei dubbi di fondo su tutta l'operazione. È noto che soprattutto i commissari nordici, tedesco e di alcuni Paesi dell'Est siano i più schietti nella difesa del rispetto integrale delle regole di bilancio. Fin dal mattino il commissario Moscovici aveva ribadito di avere come scopo precipuo di «evitare la procedura di infrazione all'Italia». Aveva detto: «Sto lavorando per garantire che l'Italia non sia punita, sono fiducioso». Ieri il negoziato è stata un'altalena continua con fasi di montaggio, smontaggio e rimontaggio di una serie di opzioni. Poi ci sono state le telefonate di Conte con Moscovici e Dombrovskis. Poi ancora gli approfondimenti tecnici nel pomeriggio. Due i nodi essenziali. Da una parte la verifica delle coperture finanziarie che devono garantire la discesa del disavanzo nominale dal 2,4 al 2,04 per cento: oltre ai circa 4 miliardi di riduzione complessiva dei fondi destinati a revisione della legge Fornero e istituzione del reddito di cittadinanza una serie di tagli di spesa e di riduzione di erogazioni alle imprese. Ma poi i tecnici del ministero dell'Economia hanno dovuto convincere le loro controparti che il quadro numerico assicurava una riduzione seppur minima del disavanzo strutturale rispetto al 2019; nella versione originaria della legge di Bilancio questo evidenziava invece un peggioramento dello 0,8 per cento, a fronte di una richiesta di fare al contrario meglio in misura dello 0,6. Per arrivare anche ad un decimale di punto di progresso non basta quindi la contrazione del disavanzo nominale e per questo la discusssione si è concentrata anche sulla classificazione degli investimenti eccezionali destinati al dissesto idrogeologico e alle infrastrutture e su alcune voci una tantm.
Se oggi l'accordo sarà formalizzato, inizierà la corsa contro il tempo per riversare i contenuti in un maxi-emendamento al Senato. Ma dopo la terza lettura alla Camera potrebbero arrivare ulteriori provvedimenti attuativi.
Stangata dall'ecotassa colpite le auto medie
ROMA Reggetevi forte, arriva il Monti-bis. Dopo le feroci critiche fatte da Lega e M5S al governo del Professore per la sudditanza all'Europa e la forte pressione fiscale che frenava la crescita, gli stessi protagonisti passati dall'altra parte della barricata introducono un provvedimento molto simile al superbollo. Quando se ne renderanno conto Salvini e Di Maio forse non gradiranno, ma tant'é.
Anzi, in questo caso la situazione è addirittura peggiore poiché il Decreto Salva Italia del 2011 metteva nel mirino le vetture con oltre 185 kW (250 cavalli), quindi tutte abbastanza potenti e costose. Lo strampalato bonus-malus, invece, acchiappa anche alcune versioni di auto popolari, quindi destinate alle gente comune (anche con soli 88 kW, cioè appena 120 cv). Il fatto che anche le famiglie fossero finite nel tritacarne del fisco ha fatto svegliare le coscienze nelle discussioni ministeriali e la soglia di CO2 per far scattare il malus è stata alzata da 150 a 160 g/km.
COME IL SUPERBOLLO
Di conseguenza la quota di mercato delle vetture colpite si abbassa ulteriormente, scende dal 5% a meno del 3%. A differenza di quanto avviene con il superbollo, però, restano nella rete vetture niente affatto esclusive, cioè premium o riservate ad una clientela in grado di spendere molto. Oltre agli automobilisti tassati ci è rimasto male anche il professor Monti perché gli è venuto in mente che se avesse chiamato ecotassa il suo balzello forse non gli sarebbero state rivolte così tante critiche. Sia come sia, il provvedimento che ha preso corpo dovrebbe partire dal prossimo primo marzo (scadrà a dicembre 2021) con una doppia soglia di incentivazione, a seconda se l'acquisto della nuova vettura ecologica viene accompagnato dalla rottamazione di una vecchia auto (Euro 4 o anteriore) o meno.
Nel primo caso il bonus sarà di 6.000 euro per le elettriche (meno di 20 g/km di CO2) e 2.500 per le ibride (da 71 a 70 g/km), nel secondo di 4.000 euro per le auto 100% a batterie e 1.500 per quelle che recuperano energia, ma montano anche il motore termico. C'è un limite di prezzo del veicolo nuovo che è di 45 mila euro più Iva, la cifra disponibile è di 60 milioni nel 2019 e 70 milioni sia nel 2020 che 2021. Per quanto riguarda i malus le fasce saranno quattro: 1.100 euro di tassa per emissioni di CO2 da 161 a 175 g/km, 1.600 euro da 176 a 200, 2.000 euro da 201 a 250 e 2.500 euro per chi va oltre quel limite.
Nell'ambito della manovra sono stati inseriti anche 5 milioni di bonus per l'installazione delle colonnine di ricarica private (nei box). Veniamo alle principali vetture colpite dalla tassa tralasciando i marchi di lusso che hanno un motore generoso più o meno su ogni modello in gamma. C'è anche un altro aspetto che crea un certo imbarazzo: diverse di queste auto sono prodotte in Italia e se caleranno le vendite scenderà anche il fatturato, il Pil e l'occupazione. È possibile comprarsi una Fiat Tipo è pagare l'ecotassa. Vi sembra un modello di lusso? Si tratta di un'auto pensata per le famiglie.
Lo stesso può accadere con la 500L, la Renault Megane e le Ssangyong XLV e Tivoli (quest'ultima ha un listino che parte da 18 mila euro). Altrettanto da famiglia e accompagnate da un eccellente controvalore (cioè un rapporto prezzo-qualità dimensioni) sono le Ford Kuga ed Edge e le ancora più compatte e molto tecnologiche Hyundai Kona e Tucson o la Kia Sportage. Poi ci sono i prodotti made in Italy e l'affare si fa ancora più delicato. Si può incappare nel malus acquistando una Jeep Compass e addirittura una Renegade che è lunga poco più di 4 metri. La prima alimenta l'impianto di Melfi e presto sarà anche ibrida plug-in, la seconda dovrebbe nascere proprio nella fabbrica lucana a meno che Fca non sia costretta a rivedere l'investimento di 5 miliardi a causa di questo nuovo scenario. Possono essere avvolte dal malus anche le Giulietta, Giulia e Stelvio che hanno rilanciato Cassino. Per completezza d'informazione va detto che questi modelli sono disponibili anche con propulsori che non eccedono la soglia del malus, ma quelli che vanno oltre perché omologarli e farli vendere se non rispettano l'ambiente?
ATTACCO AL BENZINA
Non è certo un principio sano che chi può permettersi di pagare ha l'autorizzazione di nuocere (ammesso che la CO2 sia un inquinante) alla salute degli altri, anche dei bambini. L'aspetto più incomprensibile, però, è che quasi tutte queste varianti di auto normali in malus sono equipaggiate con moderni ed efficienti propulsori a benzina. Proprio quelli che nell'ultimo periodo le amministrazioni locali hanno consigliato di acquistare bloccando la circolazione delle diesel (a Roma anche quelle Euro 6 durante le domeniche ecologiche). L'UE, intanto, ha stabilito che le emissioni di CO2 delle nuove auto dovranno diminuire del 37,5% nel decennio che va dal 2021 al 2030. L'associazione dei costruttori ha espresso serie preoccupazioni per l'industria e l'occupazione perché il target è troppo ambizioso.