BARI Il 12 luglio 2016 ventitré persone partirono la mattina pensando che poi sarebbero tornate a casa, e invece furono «fatte a pezzi dalle lamiere» nello scontro frontale tra due treni sulla tratta a binario unico Andria-Corato. Per quel disastro 17 persone fisiche e la società Ferrotramviaria saranno processati a partire dal prossimo 28 marzo. Il gup del Tribunale di Trani, Angela Schiralli, ha rinviato a giudizio tutti gli imputati, dipendenti e dirigenti dell'azienda pugliese di trasporti e del ministero delle Infrastrutture, accusati, a vario titolo, di disastro ferroviario, omicidio colposo, lesioni gravi colpose, omissione dolosa di cautele, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e falso. Secondo la magistratura tranese, l'incidente nel quale rimasero feriti anche 51 passeggeri, fu causato da un errore umano ma sono ritenuti responsabili anche coloro che non avrebbero vigilato sulla sicurezza di quella tratta. Al termine dell'udienza preliminare, nell'aula bunker di Trani, i familiari delle vittime hanno pianto e applaudito. «Da marzo affronteremo il processo con la speranza di dare giustizia a quelle 23 persone - ha detto Daniela Castellano, figlia di una delle vittime e presidente dell'associazione Astip alla quale aderiscono quindici famiglie - ma fa male pensare che queste morti avrebbero dovuto dare una spinta a nuovi investimenti in sicurezza, eppure ad oggi nulla è cambiato». Oltre ai familiari, nel processo si sono costituite parti civili la Regione Puglia, i Comuni di Andria, Corato e Ruvo di Puglia, e diverse associazioni. Ferrotramviaria e ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono invece responsabili civili. Il rinvio a giudizio degli imputati, ha detto il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, «rappresenta un ulteriore passo verso la verità su un incidente ferroviario che ha segnato profondamente il sistema della mobilità e del trasporto pubblico della Puglia». Stando alle indagini della Procura di Trani, quel giorno da Andria fu dato l'ok alla partenza del treno senza aspettare l'incrocio con il convoglio proveniente da Corato, la cui partenza, però, non fu neppure comunicata. Per questo rispondono del disastro i capistazione e un capotreno (l'altro morì nello schianto), mentre agli allora dirigenti di Ferrotramviaria si contesta di non aver adeguatamente valutato i rischi, violando una serie di norme sulla sicurezza. Nei confronti dei funzionari del ministero l'accusa è di non avere compiuto verifiche periodiche e adottato provvedimenti urgenti per eliminare il blocco telefonico.